Mt 9,35-10,1.6-8
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Parola del Signore
L’odierna pagina di Matteo sottolinea che gli apostoli sono il prolungamento di Gesù: i loro poteri sono gli stessi del Maestro che glieli trasmette. Ma perché proprio ?dodici? e non sette o otto o dieci? Perché all’interno di Israele tale numero non può avere altro riferimento che alle Dodici tribù costitutive di quel popolo, il gesto di Gesù rivela una forte e originalissima intenzione: quella di rifondare l’identità della propria nazione, che è il partner di una specifica alleanza con Dio. Prima che la Scrittura racconti dei dodici figli di Giacobbe, i capostipiti delle tribù, Israele non esiste ancora come popolo. Con Abramo ed Isacco siamo di fronte ad una famiglia, non ancora a quel popolo che Dio aveva promesso. Con Giacobbe appare, nella narrazione veterotestamentaria, il ?popolo di Dio?. I ?Dodici? scelti da Gesù sono l’inizio del ?nuovo popolo di Dio?. Cristo li ha legati indissolubilmente a sé. Identico è il tema della predicazione: la venuta del regno di Dio; anche l’attività per il regno è la medesima; uguale deve essere anche il disinteresse più luminoso. Il lavoro apostolico è paragonato a quello dei mietitori. Gesù ha compassione delle immense folle di uomini che attendono la liberazione e la salvezza. Vuole che questa ansia pastorale sia condivisa anche da coloro che sono stati salvati, dai suoi discepoli di oggi. Quindi il tema di questa liturgia è inerente alla salvezza che Cristo viene a portare, mediante coloro i quali ha designato a questo scopo. Nella prima lettura il profeta annuncia per i tempi futuri l’attuazione piena di una verità che, se pur già presente in tutta la storia umana, sarà però una delle prerogative dei tempi messianici: la vicinanza di Dio all’uomo. Gli abitanti di Gerusalemme invocheranno il Signore e saranno esauditi. Però è Dio stesso che precede la supplica dell’uomo e quasi la sollecita desideroso di poter usare misericordia. Il salmo 146 è un inno alla potenza e alla bontà del Signore. Tale lode deve esprimersi in modo conveniente, poiché è bello cantare al Signore nostro Dio. Dio è fedele alle sue promesse. Se ci apre gli occhi, potremo vedere quanto ha già realizzato per noi e sapremo anche attendere con fiducia quanto egli realizzerà. Beati coloro che aspettano il Signore!
(Monaci Benedettini Silvestrini)

Liturgia delle ore: Lodi
9 Dicembre 2017Liturgia delle ore: Ora Media
9 Dicembre 2017Vangelo del giorno meditato
«Vedendo le folle, ne sentì compassione»
Mt 9,35-10,1.6-8
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Parola del Signore
L’odierna pagina di Matteo sottolinea che gli apostoli sono il prolungamento di Gesù: i loro poteri sono gli stessi del Maestro che glieli trasmette. Ma perché proprio ?dodici? e non sette o otto o dieci? Perché all’interno di Israele tale numero non può avere altro riferimento che alle Dodici tribù costitutive di quel popolo, il gesto di Gesù rivela una forte e originalissima intenzione: quella di rifondare l’identità della propria nazione, che è il partner di una specifica alleanza con Dio. Prima che la Scrittura racconti dei dodici figli di Giacobbe, i capostipiti delle tribù, Israele non esiste ancora come popolo. Con Abramo ed Isacco siamo di fronte ad una famiglia, non ancora a quel popolo che Dio aveva promesso. Con Giacobbe appare, nella narrazione veterotestamentaria, il ?popolo di Dio?. I ?Dodici? scelti da Gesù sono l’inizio del ?nuovo popolo di Dio?. Cristo li ha legati indissolubilmente a sé. Identico è il tema della predicazione: la venuta del regno di Dio; anche l’attività per il regno è la medesima; uguale deve essere anche il disinteresse più luminoso. Il lavoro apostolico è paragonato a quello dei mietitori. Gesù ha compassione delle immense folle di uomini che attendono la liberazione e la salvezza. Vuole che questa ansia pastorale sia condivisa anche da coloro che sono stati salvati, dai suoi discepoli di oggi. Quindi il tema di questa liturgia è inerente alla salvezza che Cristo viene a portare, mediante coloro i quali ha designato a questo scopo. Nella prima lettura il profeta annuncia per i tempi futuri l’attuazione piena di una verità che, se pur già presente in tutta la storia umana, sarà però una delle prerogative dei tempi messianici: la vicinanza di Dio all’uomo. Gli abitanti di Gerusalemme invocheranno il Signore e saranno esauditi. Però è Dio stesso che precede la supplica dell’uomo e quasi la sollecita desideroso di poter usare misericordia. Il salmo 146 è un inno alla potenza e alla bontà del Signore. Tale lode deve esprimersi in modo conveniente, poiché è bello cantare al Signore nostro Dio. Dio è fedele alle sue promesse. Se ci apre gli occhi, potremo vedere quanto ha già realizzato per noi e sapremo anche attendere con fiducia quanto egli realizzerà. Beati coloro che aspettano il Signore!
(Monaci Benedettini Silvestrini)
Articoli correlati
Vangelo del giorno meditato
«Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena»
Leggi di più
DOMENICA DELLE PALME (ANNO B)
«Benedetto colui che viene nel nome del Signore»
Leggi di più
25 Marzo: il Papa consacra la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria
Leggi di più