“Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo”. Il criterio di discernimento che Gesù dà è davvero decisivo per capire che alberi siamo o da che alberi stiamo mangiando. Ma ci tengo sempre a precisare che non dobbiamo confondere i frutti con i risultati. I frutti sono quelli che elenca San Paolo: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). I risultati invece sono quel criterio quantitativo che non qualifica invece la bontà di un albero. Così da una parte potremmo avere un fallimentare risultato quantitativo, ma uno straordinario risultato qualitativo. Potremmo avere una persona che sta morendo di una malattia e vedere come quella malattia invece in lei produca “amore, gioia, pace…”. Agli occhi del mondo è un fallimento, agli occhi di Cristo è un albero buono e davvero fecondo. “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?”, conclude Gesù ricordandoci che una cosa sono le foglie (le parole) un’altra cosa i frutti (i fatti).