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San Vincenzo de’ Paoli

San Vincenzo de’ Paoli

27/09/2016

Vincenzo de Paul (in italiano Vincenzo de’ Paoli, 1581-1660) era nato nelle Lande, la regione più povera della Francia del XVI secolo. La sua famiglia era povera, come la sua infanzia. Per uno come lui, le strade percorribili erano due: le armi o la carriera ecclesiastica. Scelse la seconda. Non fu una particolare vocazione a spingerlo a scegliere di essere prete, ma solo la prospettiva di una conveniente sistemazione. Ordinato a 19 anni, per i primi anni non si dedicò al servizio pastorale, ma solo a un’affannosa scalata sociale. Con il suo arrivo a Parigi nell’autunno del 1608 termina la prima fase della sua vita. A soli 27 anni era un uomo da ricostruire. Fu il momento della sua conversione. Entra nella sfera d’influenza di Pierre de Bérulle, che stava coltivando il progetto ambizioso di ridare slancio al sacerdozio cattolico. Bérule invitò Vincenzo ad assumere la carica di cappellano della famiglia Gondi, uno dei gruppi di pressione influenti nel regno. La svolta della sua vita si operò nel 1617. A Folleville, un feudo dei Gondi in Piccardia, venne chiamato al capezzale di un contadino in fin di vita. L’uomo chiese di confessarsi. Vincenzo gli propose una confessione generale della sua vita. Fu tale la consolazione del contadino, che ne parlò con tutti. Vincenzo allora si sentì autorizzato a parlarne in chiesa. L’avvenimento gli rivelò l’estrema povertà spirituale delle campagne. L’incontro costituì per Vincenzo un appello che lo invitò a dedicare la sua vita al ministero dei «più poveri». Fuggì da Parigi e si recò nel sud-est, vicino a Lione, a Châtillon-les-Dombes, ove assunse la direzione della parrocchia. Qui in una domenica d’agosto sempre del 1617 fu avvertito dell’estremo bisogno di una famiglia. Erano poverissimi e tutti ammalati. Vincenzo si trovò di fronte a un altro versante del mistero della povertà, la povertà materiale. Ne parlò in chiesa. Il suo discorso, sostenuto dalla stima che si era meritato nelle settimane che erano trascorse dal suo arrivo, fu convincente. Al pomeriggio i visitatori erano folla. Vincenzo intuì allora che i legami della solidarietà e dell’amore cristiano non si erano allentati. Andavano migliorati. Occorreva ricostruire la Chiesa in modo da renderla luogo della carità. Organizzò pertanto una specie di associazione laicale in cui i membri s’impegnavano a prendersi cura a turno delle condizioni di bisogno che si manifestavano localmente. Per poter continuare la sua azione di evangelizzazione e la cura della carità aveva però bisogno di aiuto. Trovò dei compagni, sacerdoti dotti e motivati che si unirono a lui nella predicazione delle missioni e nella guida della carità. E così nacquero la «Congregazione della Missione» e le «Figlie della carità».

Missionari, suore e laici erano tutti coinvolti in un disegno di azione per i poveri. Non era stato spinto verso i poveri da una pura solidarietà di classe, ma solo da Dio. Ripeteva: «Non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama». Attorno a tale intuizione coordinò tutta una serie di iniziative. Per i poveri studiò una gamma di realizzazioni dall’amplissimo spettro, in cui troviamo uniti i due principi della religione per il Padre e dell’amore per gli uomini.
Vincenzo fu nominato cappellano delle galere. Le condizioni di vita erano spaventose. Mandò nelle prigioni parigine in cui i galeotti venivano raccolti in attesa della catena, cioè del convoglio che li avrebbe trasportati a Marsiglia, le sue suore. Furono sempre rispettate. I missionari furono poi incaricati di predicare le missioni e di celebrare l’Eucarestia sulle galere.
Un altro dei mali del suo tempo era costituito dai trovatelli. Quasi nessuno sopravviveva. Vincenzo, che di solito era per i piccoli passi, qui volle il massimo delle sua carità: «Non soccorrere è uccidere» disse in modo perentorio. Per quanto riguarda i malati da un lato volle che le sue suore fossero presenti in un’assistenza a domicilio e dall’altro che s’inserissero negli ospedali. Era persuaso che solo una presenza motivata e guidata dalla fede fosse in grado di superare le soglie della sofferenza. Per lui il problema non era la malattia, ma l’uomo malato.
Con lui iniziò una nobile epopea missionaria. I suoi figli andarono in Italia, in Polonia, nelle isole britanniche, nell’Africa del nord (Algeria e Tunisia) e nel Madagascar. Nonostante i morti per la fede e la fatica, ripeteva: «La nostra vocazione è di andare… per tutta la terra; a far che? A infiammare il cuore degli uomini, a fare ciò che il Figlio di Dio ha fatto». Lui stesso diede l’esempio. Morì «sulla sua sedia, vestito vicino al fuoco».
(Luigi Mezzadri, Litterae Communionis, n. 9 1986)

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