La Santissima Trinità

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La Santissima Trinità

Eresie Trinitarie: gli errori su Dio

Numerose sono le eresie trinitarie che vengono risolutamente censurate dal Tomus Damasi. La loro identificazione e comprensione consente di ribadire ulteriormente i capisaldi della dottrina cattolica sulla Santissima Trinità, che è il primo mistero della nostra fede e il fondamento di tutto l’edificio dottrinale della santa Chiesa, il dogma su cui tutti gli altri reggono e da cui dipendono. La prima grande eresia trinitaria che flagellò per numerosi lustri la Chiesa, coinvolgendo – sciaguratamente – anche numerosi esponenti del clero nei suoi errori fu l’Arianesimo, che, nonostante i Concili di Nicea e Costantinopoli (convocati appunto per sconfiggerla e neutralizzarla) e l’opera infaticabile del grande sant’Atanasio, continuò ad imperversare nell’Impero romano raccogliendo proseliti anche tra qualche imperatore e, appunto, anche tra non pochi membri perfino dell’episcopato. Ario diceva sostanzialmente che il termine “Dio”, in senso proprio, vero e pieno, può essere attribuito solo al Padre, mentre il Figlio, pur essendo largamente al di sopra delle creature umane ed angeliche, sarebbe comunque al di sotto del Padre, non vero Dio in senso stretto, non coeterno con Lui e, soprattutto, non della stessa sostanza del Padre: una sorta di “demiurgo” di platonica memoria, ma non vero Dio. In tal caso, ammesso – e ovviamente non concesso – che ciò fosse vero, la Trinità resterebbe una mera formula, in quanto in realtà si tornerebbe ad un monoteismo non molto dissimile da quello dell’Antico Testamento. Ecco perché la prima affermazione perentoria del Tomus è che vengono scomunicati “coloro i quali non proclamano, con tutta franchezza, che Egli [lo Spirito Santo] possiede con il Padre e il Figlio un’identica potenza e sostanza”, per poi aggiungere la scomunica ad Ario in persona per il suo asserire la creaturalità del Figlio e dello Spirito Santo. Sabellio, invece, fu latore di un’altra grave eresia trinitaria, tecnicamente nota come “modalismo”. In base a questo pensiero, la distinzione tra le tre persone divine (pur identiche nella sostanza), non sarebbe reale, ma solo di ragione, dipendente cioè semplicemente dal modo (ecco perché “modalismo”) con cui si considera l’essere e l’azione di ciascuna di esse. Anche in questo caso, tuttavia, si verificherebbe un ritorno al monoteismo semplice, perché la distinzione tra le persone divine non è solo di ragione o dipendente dal modo in cui le si considerano, ma reale. Come infatti si ricorderà dal simbolo Quicumque, altra è la Persona del Padre, altra quella del Figlio e altra quella dello Spirito Santo, pur essendo identica la natura, la maestà e la potenza. I “macedoniani”, dal canto loro, riprendendo l’errore di Ario, evidenziavano in modo particolare la creaturalità soprattutto dello Spirito Santo, definendolo inferiore al Verbo e vera e propria creatura in senso stretto. Per questo vennero soprannominati anche “pneumatomachi”, cioè “coloro che combattono lo Spirito Santo”. Gli ebioniti, seguaci di Elbione, furono portatori di un’eresia che negava la vera divinità di Cristo e quindi la vera incarnazione del Verbo, sostenendo che Gesù provenisse solo dalla Vergine Maria e non anche dal Padre. Fotino, storico fondatore del neoplatonismo, riprese tale eresia, perfettamente consona al pensiero neoplatonico che, considerando la materia un male in se stessa, non può concepire un abbassamento della divinità fino ad unirsi con essa e pertanto non può far altro che negare la vera realtà dell’incarnazione. Leggermente più sottile e destinata ad essere ripresa dal vescovo di Costantinopoli Nestorio è l’eresia che afferma che Gesù Cristo ha certamente due nature ma non è una sola persona, eresia che fu censurata e stigmatizzata dal Concilio di Efeso (431). Essa concepisce l’incarnazione non come “unione ipostatica”, cioè assunzione della natura umana nella Persona del Verbo di Dio in maniera (per questo) definitiva e inscindibile, ma come “adozione” dell’uomo Cristo Gesù, di per se stesso sussistente e nato dalla Vergine Maria, da parte del Verbo. Se così fosse, non si potrebbe dire in verità che “il Verbo si è fatto carne” o che “Dio si è fatto uomo” e la redenzione non avrebbe potuto essere compiuta. Viene bandita anche la dottrina neoplatonica dell’emanatismo, che vede il Verbo come una “propagazione del Padre” o che lo intende come una sostanza separata (in una sorta di “biteismo”) destinata ad avere fine. Infine viene censurato Eunomio che negava – come Ario – la vera divinità del Verbo, ma “con diversa empietà”, meglio sarebbe dire “più grave empietà”, perchè mentre Ario affermava che il Verbo era di natura “simile” a quella del Padre, Eunomio sosteneva essere invece di natura diversa, degradando ancora di più la dignità del Figlio eterno del Padre.


La dottrina cattolica sulla Santissima Trinità

Terminata l’analisi del simbolo “Quicumque”, soffermeremo ora l’attenzione su un altro eccezionale ed importantissimo documento, che è fondamentale per rettamente comprendere e conoscere (sempre per quanto possibile) il mistero trinitario: il “Tomus Damasi” (379), del grande papa San Damaso I, documento che fu emanato in seguito ad un Concilio tenutosi a Roma nel 378, quando ancora erano tutt’altro che sedate numerose e gravi eresie trinitarie (Denz 152-177). Riportiamo di esso tutte le affermazioni concernenti la Santissima Trinità, omettendo quelle a carattere più strettamente cristologico. Dal prossimo articolo comincerà il commento ad esse.
“Giacché dopo il Concilio di Nicea si è sviluppato l’errore di alcuni, che con bocca sacrilega osano affermare che lo Spirito Santo è stato fatto mediante il Figlio:
• Scomunichiamo coloro i quali non proclamano, con tutta franchezza, che Egli possiede con il Padre e il Figlio un’identica potenza e sostanza.
• Scomunichiamo anche coloro che, seguendo l’errore di Sabellio, dicono che il Padre è lo stesso che il Figlio.
• Scomunichiamo Ario e Eunomio, che con eguale empietà, anche se con parlare dissimile, asseriscono che il Figlio e lo Spirito Santo sono creature.
• Anatematizziamo i macedoniani che, provenendo dalla stirpe di Ario, non ne mutano la perfidia, ma solo il nome.
• Scomunichiamo Fotino che, rinnovando l’eresia di Ebione, professa che il Signore Gesù Cristo proviene solo da Maria.
• Scomunichiamo coloro che asseriscono che ci sono due figli, uno prima dei secoli e l’altro dopo l’assunzione della carne dalla Vergine.
• Scomunichiamo coloro che affermano che il Verbo di Dio, Figlio di Dio, sia una propagazione o riassunzione e che sia separato dal Padre, senza sostanza, e destinato ad avere fine.
• Chi non confessa che il Padre è sempre stato e che la stessa cosa si deve ammettere del Figlio e dello Spirito, è eretico.
• Chi non confessa che il Figlio è nato dal Padre, cioè dalla sua divina sostanza, è eretico.
• Chi non confessa che il Figlio è vero Dio, come il Padre, e che può tutto e tutto sa e che è uguale al Padre, è eretico.
• Chi dice che Egli, mentre era sulla terra e camminava nella carne, non era parimenti in cielo con il Padre, è eretico.
• Chi non confessa che lo Spirito Santo tutto può e tutto conosce e che è ovunque presente, come il Padre e il Figlio, è eretico.
• Chi dice che lo Spirito Santo sia una creatura o che sia stato creato mediante il Figlio, è eretico.
• Chi non confessa che il Padre ha fatto, mediante il Figlio e lo Spirito Santo, tutte le cose, visibili e invisibili, è eretico.
• Chi non confessa che vi è un’unica divinità, potestà, maestà, potenza, un’unica gloria, dominazione, un unico regno, un’unica volontà e verità del Padre e del Figlio, è eretico.
• Chi non confessa tre vere persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, le quali, uguali tra di loro, vivono sempre, tutto abbracciano, il visibile e l’invisibile, tutto possono, tutto giudicano, tutto vivificano, tutto creano, tutto conservano, è eretico.
• Chi non confessa che lo Spirito Santo deve essere adorato da ogni creatura al pari del Padre e del Figlio, è eretico.
• Chi pensa correttamente del Padre e del Figlio, ma non ha una retta comprensione dello Spirito Santo, sia anatema, poiché tutti gli eretici, che pensano erroneamente del Figlio e dello Spirito Santo, si trovano nella perfidia dei giudei e dei pagani.
• Chi, dicendo che il Padre è Dio e il Figlio pure è Dio e che lo è ugualmente lo Spirito Santo, li separa e pretende perciò di dire “dèi” e non “Dio”, a motivo di quell’unica divinità e potenza, che noi crediamo e sappiamo appartenere al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo; chi, escludendo il Figlio e lo Spirito, dice che solo il Padre si deve chiamare Dio e che solo in questo modo pensa ad un unico Dio, erra nella fede ed è pari a un giudeo. Infatti, Dio applica il nome “dèi” anche agli angeli e ai santi tutti a motivo della grazia, mentre per il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, a causa dell’unica e identica divinità, non va usato il nome “dèi”, ma è comandato di designarli col nome singolare di Dio. Infatti noi siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e non in quello degli arcangeli e degli angeli, come fanno, delirando, i propagatori dell’errore, giudei o pagani. La salvezza dei cristiani consiste nel credere nella Santissima Trinità, e precisamente nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e, battezzati nel loro nome, nell’ammettere per fede, senza esitazione, che è propria di tutte e tre le persone la vera, unica divinità, potenza, maestà ed essenza”.

 


La Santissima Trinità: proprietà e relazioni

Le tre persone della Santissima Trinità sono coeterne e coeguali e pertanto si deve venerare l’unità nella Trinità e la Trinità nell’unità, secondo l’antico adagio patristico: “Unitas in Trinitate e Trinitas in unitate”. Il fatto che Dio “sia così” è immensamente significativo e già in se stesso foriero di una importantissima rivelazione. La Trinità coeterna, coeguale e necessaria (anche se, al tempo stesso, sommamente libera) rivela, infatti, l’essenza e la vita intima di Dio e rende comprensibile la definizione che san Giovanni, come abbiamo visto negli articoli precedenti, osò dare di Lui: “Dio è amore”. Proprio la necessaria ed eterna compresenza delle tre persone rivela, infatti, che l’amore è Dio, è il cuore della sua vita intima, è tutto ciò che profondamente lo caratterizza. Se Dio fosse, infatti, soltanto uno e non anche trino, non potrebbe predicarsi con verità della sua essenza che è amore. L’amore, infatti, per definizione, presuppone una relazione tra “un io e un tu”, che consiste nel dare e darsi completamente all’altro. Se Dio fosse solo ciò non potrebbe dunque predicarsi di Lui. Né basterebbe pensare di ovviare al problema dicendo: sì, ma Dio ama tutte le creature che ha liberamente create. Ammesso che ciò fosse vero, in quel caso però potremmo dire che Dio ha amore per le creature, non che è amore, perché prima di creare, essendo eterno, ci sarebbe stato un lasso indefinito (e indefinibile) di tempo in cui era “solo” e quindi senza nessuno a cui dare e darsi totalmente. Ecco perché il monoteismo annunciato dal Cristianesimo è molto differente da quello che lo ha preceduto (l’Ebraismo) e da quello che lo ha seguito (l’Islam). Non è, infatti, un dettaglio accidentale che Dio sia trino, oltre ad essere uno. Certamente, anche questi altri monoteismi possono conoscere, ammettere e predicare l’amore e la misericordia di Dio, ma credere nella Santissima Trinità e quindi sapere che Dio è amore (non solo che ha amore) è rivelazione dalla portata assolutamente dirompente, perché vuol dire che tutto, ma proprio tutto, ciò che Dio è e fa, dentro di sé (nella vita trinitaria) e fuori di sé (ad extra), deve sempre essere letto attraverso la lente di ingrandimento dell’amore e la chiave di decodifica dell’amore. Qualche esempio, anche molto esistenziale, contribuirà (spero) a rendersi conto della portata di tale immensa e consolante verità di fede. Perché Dio avrebbe creato l’universo, piuttosto che rimanere nella sua eterna e perfetta beatitudine intratrinitaria? Per amore, cioè per rendere partecipe qualcuno al di fuori di Lui della sua eterna beatitudine e felicità. Era obbligato Dio a creare? Certamente no, l’ha fatto liberamente e solo per amore. Perché ha dotato di libertà le creature simili a Lui, ossia gli angeli e gli uomini? Per amore e perché all’amore libero e volontario del suo atto creativo, si può e si deve rispondere con atto altrettanto libero e volontario della creatura che accoglie l’offerta di amore divino e la ricambia (come Dio merita e come a Lui è dovuto) con il dono totale di sé e con l’obbedienza perfetta. Perché Dio non ha impedito alle creature libere di peccare? Per amore, perché l’amore lascia liberi e non tratta come schiavi da soggiogare. Perché non ha distrutto Lucifero e gli angeli ribelli dopo il loro peccato? Sempre per amore, dato che Dio nulla disprezza di ciò che ha creato e la cattiveria delle creature non altera (né può alterare) la sua imperturbabile ed eterna bontà; ed anche perché, nella sua Onnipotenza, sapeva di poter trarre del bene anche da questo male (come da tutto il male), in modo a noi non ben comprensibile ma certamente vero. Perché ha creato l’uomo, sapendo che, sedotto da satana, avrebbe degradato e quasi completamente rovinato l’intera natura umana? Sempre per amore e pensando ancor prima che il tutto accadesse, al rimedio per tale immane tragedia. Perché ha mandato il Figlio sulla terra? Per amore e solo per amore dell’uomo, sua creatura. Lo avrebbe mandato anche se l’uomo non avesse peccato? Certamente, e sarebbe stato un viaggio di delizie e gioie, per Lui e per noi. La Croce e il dolore che ha dovuto subire in questa terra, e i suoi eletti con Lui, è solo conseguenza della presenza del male e del peccato e, quindi, rimedio d’amore. Passando al piano personale: perché mi è accaduta quella disgrazia, sto vivendo questa situazione difficile, non ho realizzato i miei desideri, ho avuto quel lutto, quella malattia, etc.? Sempre e solo per amore, perché nulla Dio fa o permette se non per amore, con amore e sempre per un bene maggiore. Ovviamente si potrebbe continuare con una serie indefinita di esempi. Ma penso che possa bastare. Si capirà, ora, perché è così importante una retta comprensione del dogma trinitario. Oltre che per doveroso riconoscimento di ciò che è vero (perché se Dio è così, noi dobbiamo crederlo, professarlo ed annunziarlo così com’è), anche per le straordinarie conseguenze di ciò che questo comporta nella retta comprensione della fede e della morale. Così capiremo meglio perché milioni di martiri si sono fatti uccidere tra tormenti inauditi, ma non hanno osato negare o rinnegare la santa fede cattolica. Ciò sia esempio, sprone e monito per tutti noi cristiani del terzo millennio, che a volte sembriamo aver smarrito la santa fierezza derivante dalla coscienza dell’inestimabile grandezza della nostra fede.


La Santissima Trinità – pensare Dio nel modo corretto

Molto interessanti sono le considerazioni del simbolo Quicumque a proposito degli attributi delle Persone divine, stante l’unicità della natura pur nella Trinità delle persone. Ad una coscienza non ben formata, infatti, potrebbe non essere troppo chiaro un concetto di fondamentale importanza. Ciò che si predica di una Persona divina è immediatamente, sic et simpliciter, attribuibile, anzi necessariamente da attribuire, anche alle altre. L’onnipotenza, per esempio, che il simbolo di Nicea – Costantinopoli attribuisce alla persona del Padre, non è un attributo a Lui esclusivo, ma comune anche alle altre due. Stesso discorso vale per qualunque cosa si predichi di ciascuna delle persone divine: essere creatore, essere onnipotente, essere onnisciente, essere immenso, etc., ossia tutti gli attributi propri ed esclusivi della divinità, sono patrimonio identico e comune a ciascuna delle tre persone divine, perché ciascuna di esse è pienamente e totalmente partecipe della vera sostanza divina. Ecco perché si specifica che non ci sono tre onnipotenti ma un solo onnipotente, non tre signori ma un solo signore, non tre dèi ma un solo Dio. Perché ogni attributo si predica non della singola persona, ma della natura, che è unica e perfettamente ed identicamente partecipata da Ciascuno dei Tre. A questo punto però potrebbe sorgere il dubbio: ma allora non c’è nessuna differenza tra le persone divine? C’è ed è essenziale ed importante. Le differenze sono da cercare nelle relazioni di origine tra le persone divine e nelle proprietà di ciascuna di esse. Il simbolo chiarisce che il Padre – e solo Lui – non è stato fatto da alcuno, né creato né generato. Dunque la sua proprietà è essere innascibile e la sua relazione col Figlio è quella di esserne il “generante”. Il Figlio, a sua volta, ha col Padre la relazione dell’essere generato (da Lui e da Lui solo), non fatto, né creato (altrimenti non sarebbe vero Dio), ma appunto generato“ della stessa sostanza del Padre” (come avrebbe specificato il Simbolo di Nicea – Costantinopoli). Il Padre, dunque, innascibile, è l’origine della divinità che trasmette totalmente, completamente ed eternamente per generazione al Figlio che da Lui viene e che ha, quindi, come proprietà specifica quella dell’essere generato. Lo Spirito Santo, a sua volta, ha una relazione d’origine peculiare e specifica col Padre e col Figlio da cui procede per via di spirazione, non di generazione, né, ovviamente, di creazione. Dalla relazione di amore tra il Padre e il Figlio, lo Spirito Santo procede come Amore sussistente. Sua proprietà è dunque quella di spirare per via di processione dal Padre e dal Figlio. Da tutto questo si capisce che se una e identica è la natura divina dei Tre, essi sono tuttavia realmente distinti e ciascuno con la sua peculiare proprietà. C’è un solo Padre e non “tre Padri”, perché solo la prima persona della Santissima Trinità è innascibile ed è l’origine della divinità tramite generazione del Figlio e, con Lui e per mezzo di Lui, processione dello Spirito Santo. C’è un solo Figlio e non “tre Figli”, perché solo la seconda persona della Santissima Trinità è eternamente generata dal Padre, da cui riceve la pienezza della divinità, proprietà che è solo sua e non anche del Padre e dello Spirito Santo. Infine c’è un solo Spirito Santo e non “tre Spiriti Santi”, perché solo la terza persona della Santissima Trinità procede per spirazione (non per generazione, come il Figlio) dal Padre e dal Figlio, senza poter essere (come solo il Padre lo è) innascibile e, quindi, origine della divinità. Questa reale distinzione e questo ordine (“taxis”) delle tre persone divine (che sono il Padre – la prima, il Figlio – la seconda e lo Spirito Santo – la terza) non deve però far pensare alla benché minima diversità o “gradazione” o gerarchia tra i Tre: le persone sono coeterne e coeguali, senza un maggiore o un minore, senza che qualcuno venga prima o dopo e senza nessun’altra distinzione che non sia quella delle relazioni di origine che danno luogo, come abbiamo visto, alla singola proprietà di ciascuna persona. Certamente la Santissima Trinità rimane un mistero, ma occorre pensarla e concepirla solo e soltanto in questo modo, per quanto la sua ineffabilità sovrasti la nostra piccola mente e le nostre possibilità di comprensione. Per ottenere l’eterna salvezza questo – e solo questo – è il modo corretto di pensare la Santissima Trinità.


La Santissima Trinità – introduzione al mistero dei misteri

Circa una cinquantina di anni fa un noto teologo ebbe ad esprimere un giudizio per metà ironico e per metà preoccupante su una situazione che, a suo parere, era diffusa all’interno del popolo cristiano. Queste più o meno le sue parole: “per la stragrande maggioranza dei fedeli cattolici, il dogma trinitario non ha alcun significato e nessuna conseguenza in ordine alla vita e alla preghiera”. Vale a dire che i membri della santa Chiesa Cattolica, pur forse avendo appreso alcune nozioni circa la Trinità dal catechismo, non erano tuttavia in grado di comprendere (per quanto si può) la grandezza, il significato e la straordinaria portata del primo mistero principale della nostra fede (“unita e trinità di Dio”) né tutte le conseguenze (sotto tantissimi punti di vista) che tale sconcertante rivelazione ha all’interno di tutto il panorama delle verità rivelate, sia per ciò che concerne il contenuto della fede, che i principi e le implicanze in ordine alla vita morale e spirituale
dei membri del popolo di Dio. Il giudizio può senza dubbio apparire eccessivo, esagerato o troppo forte. Ma non, tuttavia, al di fuori della realtà. Per una piccola verifica empirica, basta che il lettore di questo articolo, in questo momento, si faccia queste semplici domande: “se qualcuno mi chiedesse qualcosa sulla Trinità, io cosa saprei dire? Con quale persona divina mi relaziono di preferenza? Chi dei Tre prego regolarmente? Quanto saprei dire circa la grandezza, l’importanza, la funzione dello Spirito Santo?
Sono in grado di comprendere la regola che la Chiesa segue nella preghiera liturgica, in relazione alle tre Persone della Santissima Trinità?”. Probabilmente l’esito non proprio lusinghiero delle
risposte a tali domande sarà il dover prendere atto che, forse non in tinte così drammatiche, tuttavia in ordine a questa importantissima tematica le idee chiare (che, in effetti, non sono poi moltissime, stante l’estrema grandezza di tale mistero) sono ben poche. Eppure è il primo mistero principale della nostra fede che, con il secondo (“incarnazione, passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo”), costituisce il discriminante fondamentale tra il cristianesimo e le altre due grandi religioni monoteiste: quella che lo ha preceduto (l’ebraismo) e quella che è stata fondata circa sei secoli dopo (l’islamismo). L’ignoranza di esso, pertanto, si ripercuote inevitabilmente in una perdita di identità e in un conseguente smarrimento dell’importanza e della grandezza di tutto il conoscitrice delle Tre Persone divine, con le quali ha avuto (e per sempre avrà) un rapporto unico e irripetibile. Sia Lei il nostro sicuro e verace faro di scienza, deposito della fede, che da questi due misteri dipende, come amava dire Origene, come l’acqua dalla
fonte (il grande catecheta alessandrino chiamava il mistero della Santissima Trinità “mistero fontale”). Senza una buona conoscenza e comprensione del mistero trinitario si smarrisce l’essenza profonda della rivelazione cristiana, con grandissime (e non positive conseguenze) sulla percezione della grandezza della nostra santa fede cattolica, di cui dobbiamo infinitamente essere grati a Dio, pur nel doveroso rispetto di chi non crede nel nostro stesso Dio e senza, evidentemente, volerla imporre a nessuno. Ma, volendo chiosare San Paolo, è certamente e deve essere motivo di sana e
santa gioia, come diciamo nelle preghiere del mattino, che Dio ci abbia “fatti cristiani”, una gioia che diventa contagiosa in tutta la vita che ad essa rettamente e santamente si ispiri e che porta a comunicarla agli uomini, come diceva il buon san Francesco, anzitutto con la vita ed anche con la parola, nella consapevolezza che è un tesoro inestimabile che non possiamo trattenere per noi o nascondere – parafrasando il Vangelo – sotto la terra o sotto il moggio. Cominceremo pertanto un viaggio che, in forma adeguata alla natura catechetico-divulgativa di questi articoli, ci porti non dico a entrare ma quanto meno a lambire e contemplare questo “oceano dei misteri” (altra espressione di origeniana memoria), con la speranza di uscirne rischiarati dalla luce che da esso si sprigiona e – perché no? – forse splendidamente abbagliati dal suo divino fulgore. Un viaggio condotto, come sempre, sotto la guida del Magistero della Chiesa che, si badi, ha impiegato i primi sei secoli e ben sei Concili ecumenici solo per difendere i primi due misteri
principali della nostra fede dalle eresie e fornirne i criteri e i canoni per la loro adeguata comprensione. La figlia di Dio Padre, Madre di Dio Figlio e Sposa dello Spirito Santo, voglia condurci in questo percorso che trova in Lei un faro e un punto di riferimento senza uguali, perché, tra le eccellenze della Vergine Santissima, c’è senza dubbio anche quello di essere l’unica perfetta.


La Santissima Trinità: Dio è Amore

Cominciamo con questo articolo ad avvicinarci al “sole” del mistero trinitario nella speranza (unita alla preghiera) di non rimanerne abbagliati, ma piuttosto infuocati di santo amore che sappia, sia pur in minima parte, contraccambiare il moltissimo che abbiamo ricevuto dall’eterna e santissima Trinità. Per cominciare ad addentrarsi in quest’oceano di misteri, bisogna partire dall’unica “definizione” che la Sacra Scrittura dà di Dio onnipotente: “Dio è amore”, scrive per ben due volte l’apostolo prediletto san Giovanni nella sua prima lettera (1Gv 4,8.16), volendo con ciò significare che l’essenza di Dio (che è eterna, in quanto coincidente con l’essere) è “dare totalmente se stesso a un altro” (questo è il significato vero della parola amore). Ora, proviamo a riflettere: supponiamo che Dio fosse soltanto uno, ossia un solo Essere Supremo, Perfetto e Onnipotente, come per esempio lo professano gli ebrei e i musulmani. Potrebbe avere molti attributi coincidenti con la sua essenza, ma non quello
dell’amore che richiede un “tu” su cui riversarsi. Né basterebbe, per ovviare questa obiezione, dire che Dio ama le sue creature. Tutte le creature, infatti, hanno avuto un inizio, una “data di nascita” (universo compreso), ma Dio non ce l’ha e, pertanto, dal momento che i suoi attributi coincidono con la sua essenza, non si potrebbe dire, in questo caso che Dio è amore, ma solo che ha amore per le creature che la liberamente creato. Potrebbe quindi anche avere tutti gli attributi di un Dio, ma non l’amore, perché l’amore che è dichiarato da san Giovanni attributo coincidente con l’essenza di un essere “eterno” presuppone che, da quando Dio è Dio (cioè da sempre) il vortice di amore che egli vive nel suo intimo e non può non “esprimere” debba necessariamente riversarsi su qualcuno capace di riceverlo. Questo “Qualcuno” non è altro che il Figlio ed è proprio per questo, come vedremo, che lo si adora come vero Dio eternamente generato prima di ogni creatura ed eternamente in atto di accogliere e ricambiare quell’amore che circola tra Lui e il Padre e che fa scaturire la Terza persona di questa magnifica triade che è l’amore stesso personificato. Solo con queste brevi considerazioni, dovrebbe già intravedersi la fondamentale importanza del dogma trinitario. C’è un abisso tra l’idea di Dio del Cristianesimo e quella delle altre religioni, proprio a causa di questa sconcertante e ineffabile rivelazione della Trinità. Approfondiremo il dogma trinitario alla luce di uno splendido e fondamentale testo magisteriale: il “simbolo “Quicumque” di sant’Atanasio (295-373), uno dei principali artefici del Concilio di Nicea, scritto proprio per confutare le prime numerose eresie trinitarie. Riporto il testo, il cui commento comincerà dal prossimo articolo. Chiunque voglia salvarsi, deve anzitutto possedere la fede cattolica: Colui che non la conserva integra ed inviolata, perirà senza dubbio in eterno. La fede cattolica è questa: che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell’unità. Senza confondere le persone, e senza separare la sostanza. Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio, ed altra quella dello Spirito Santo. Ma Padre, Figlio e Spirito Santo sono una sola divinità, con uguale gloria e coeterna Maestà. Quale è il Padre, tale è il Figlio, tale lo Spirito Santo. Increato il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo. Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo. Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre eterni, ma un solo eterno. Come pure non vi sono tre increati, né tre immensi, ma un solo increato e un solo immenso. Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio. E tuttavia non vi sono tre dei, ma un solo Dio. Signore è il Padre, Signore è il Figlio, Signore è lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre Signori, ma un solo Signore. Poiché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e Signore: così la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori. Il Padre non è stato fatto da alcuno: né creato, né generato. Il Figlio è dal solo Padre: non fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente. Vi è dunque un solo Padre, non tre Padri: un solo Figlio, non tre Figli: un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi. E in questa Trinità non v’è nulla che sia prima o dopo, nulla di maggiore o minore: ma tutte e tre le persone sono l’una all’altra coeterne e coeguali. Cosicché in tutto, come già detto prima, va venerata l’unità nella Trinità e la Trinità nell’unità. Chi dunque vuole salvarsi, pensi in tal modo della Trinità.
Ma per l’eterna salvezza è necessario, credere fedelmente anche all’Incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo. La retta fede vuole, infatti, che crediamo e confessiamo, che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall’eternità: è uomo, perché nato nel tempo dalla sostanza della madre. Perfetto Dio, perfetto uomo: sussistente dall’anima razionale e dalla carne umana. Uguale al Padre secondo la divinità: inferiore al Padre secondo l’umanità. E tuttavia, benché sia Dio e uomo, non è duplice ma è un solo Cristo. Uno solo, non per conversione della divinità in carne, ma per assunzione dell’umanità in Dio. Totalmente uno, non per confusione di sostanze, ma per l’unità della persona. Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo, così Dio e uomo sono un solo Cristo. Che patì per la nostra salvezza: discese agli inferi: il terzo giorno è risuscitato dai morti. É salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti.Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere con i loro corpi: e dovranno rendere conto delle proprie azioni. Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna: coloro, invece, che avranno fatto il
male, nel fuoco eterno. Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccerà fedelmente e fermamente. Amen.


La Santissima Trinità: gli attributi divini

La santissima trinità, terza puntata Il simbolo “Quicumque” comincia con un monito su cui è bene soffermare con estrema attenzione la nostra considerazione. Afferma perentoriamente l’importanza capitale del possedere – integra e completa – la fede cattolica, ammonendo che, qualora (Dio non voglia!) non la si conservasse integra ed inviolata, senza dubbio (si badi al carattere totalmente apodittico della conclusione) si andrebbe incontro alla morte eterna. Se, infatti, è vero che non basta la sola fede per raggiungere l’eterna salvezza, dato che occorrono anche le opere sante con le quali si merita il premio della beatitudine, è però certo che senza la fede (integra e inviolata) l’accesso alla salvezza è ordinariamente precluso. Il testo letterale dell’epistola agli Ebrei è, in questo senso, chiaro e perentorio: “Senza la fede è impossibile essere graditi a Dio; chi infatti si accosta a Lui deve credere che Egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11,6). Avere pertanto una fede ben formata e solida nei contenuti è condizione imprescindibile e necessaria (anche se non sufficiente) per non perire in eterno. Ora, la fede cattolica, si fonda, come su un pilastro di solido e intaccabile granito, sul dogma trinitario, da cui tutte le verità di fede discendono, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente, come un albero dalle radici o come un essere umano dal proprio patrimonio genetico. Questo fondamento è divino e assoluto e non può essere in nessun modo dimenticato, minimizzato o passato sotto silenzio. La grande rivelazione della Santissima Trinità mostra che, da un lato Dio – che è uno e unico – non è tuttavia una sola persona; dall’altro che la trinità delle persone – uguali e distinte – non intacca l’unità e l’unicità di Dio. Dice testualmente il Quicumque: “senza confondere le persone (perché sono realmente distinte l’Una dall’Altra) e senza separare la sostanza (perché unica e identica è la sostanza – divina – di Ciascuno dei Tre, che non sono pertanto tre dèi, ma un solo Dio)”. Per questo specifica subito che “una è la persona del Padre, altra quella del Figlio, ed altra quella dello Spirito Santo”, sancendo così la reale distinzione delle Tre Persone; ma immediatamente aggiunge che “Padre, Figlio e Spirito Santo sono una sola divinità, con uguale gloria e coeterna maestà”. Una sola divinità, con uguale gloria e costerna maestà. Con ciò si vuole intendere che, salva la distinzione reale delle Persone, non ci sono altre differenze nella Santissima Trinità. La gloria e la maestà del Padre sussistono identiche nel Figlio e nello Spirito Santo, senza alcuna differenza. Similmente con tale affermazione si vuole subito distruggere il fondamento di alcune eresie, proprie dei primi secoli, che concepivano la Santissima Trinità in termini di “gradazione”: il Padre sarebbe stato il più grande di tutti, e poi, a scalare, il Figlio e lo Spirito Santo, che in qualche modo erano un po’ meno di Lui (era questa la tesi di fondo dell’arianesimo, contro cui proprio sant’Atanasio ingaggiò una battaglia feroce, vincendola). Molto bella è l’ulteriore specificazione in cui si mostra come alcuni attributi tipici ed esclusivi della divinità sono da considerarsi come propri di ciascuna delle tre Persone divine: l’essere increato, l’essere immenso, l’essere eterno. Si tratta di attributi evidentemente trascendenti, che si possono predicare di Dio solo. Essere creato vuol dire avere una causa (esterna) della propria esistenza. Ma Dio non è e non può essere creato da nessuno, semplicemente “è”. La nostra limitata mente umana non può concepire una cosa del genere, altrimenti saremmo a nostra volta “dio” (uguali a Lui). Il grande sant’Agostino, al riguardo, lasciò il celebre aforisma: “si comprehendis, non est Deus” (“se lo comprendi, non è Dio”). L’essere immenso significa essere “tutto e dappertutto”. Nel catechismo di san Pio X si specificava al riguardo, che Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo (attributo dell’onnipresenza). Anche questo attributo precipuamente divino (nessun ente creato gode del privilegio dell’immensità) si può e si deve predicare, indifferentemente, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Infine è proprio di Dio solo essere eterno. C’è una sottile differenza tra questo attributo e l’essere increato: l’eternità, infatti, significa evidenziare che Dio non ha una data di nascita e quindi, oltre a non esistere qualcuno o qualcosa che lo abbia fatto essere, non esiste neppure un momento in cui non c’era. Anche questo concetto è per noi radicalmente trascendente, in quanto la mente umana è capace di rappresentarsi solo un infinito verso il futuro, in avanti, non un infinito all’indietro, un “qualcosa” o un “qualcuno” che ci sia da sempre senza un’origine, una data di nascita, una causa efficiente. Ma Dio è “Dio” proprio per questo! La coeternità delle Persone significa sgombrare il campo da un pericolosissimo pensiero: che ci fosse stato anche un solo momento in cui uno dei Tre mancasse nella Trinità. Cosa che, se fosse vera, immediatamente toglierebbe la vera divinità alla persona interessata, privandola di un attributo essenziale della natura divina. Come avremo modo di vedere ulteriormente, non c’è stato nemmeno un nanosecondo in cui il Figlio, eternamente generato dal Padre, non c’era, né un solo istante in cui lo Spirito Santo, che eternamente sussiste per “spirazione dal Padre e dal Figlio” non c’era. Possa proprio la Terza Persona, con la sua potenza, illuminare gli occhi della nostra mente per consentirci di fissare lo sguardo su misteri tanto grandi ed eccelsi.

(Don Leonardo Maria Pompei)

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