RALLEGRATEVI NEL SIGNORE
Riflessione Avvento “Andiamo con gioia incontro al Signore”
Riflessioni Avvento “Il germoglio”
INTRODUZIONE
Accogliamo dal Signore un nuovo Anno di grazia, di bontà, di misericordia, di amore, di gioia! E, come ogni anno, vogliamo scambiarci alcuni spunti per la nostra riflessione ed incoraggiarci vicendevolmente lungo le strade della vita, intrise sempre più dai ritmi frenetici del quotidiano e da quelle tribolazioni che rendono più o meno faticoso questo cammino, e comprendere appieno i misteri della salvezza che la Liturgia ci concede di celebrare.
Ecco un nuovo Avvento, un nuovo tempo in cui il Signore ci chiama alla conversione, invitandoci ad orientare i nostri passi verso quella “Gioia” totale e completa che è Lui!
Egli, amato e celebrato, è lo stesso ieri, oggi e sempre; e noi, con le parole che chiudono il libro dell’Apocalisse, cantiamo con voce unanime: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). Così terminiamo un anno e ne cominciamo un altro.
Con questa Speranza certa nel cuore, vogliamo vivere questo nuovo tempo di grazia accogliendo l’invito dell’apostolo Paolo: «Rallegratevi nel Signore» (Fil 4,4). Ma prima ancora, vogliamo metterci a riscoprire il grande significato dell’Avvento, che il Signore ci dona di celebrare perché, nell’attendere la Sua venuta, possiamo attingere frutti di carità e di amore per noi e per i nostri fratelli.
Santa Maria, madre tenera e forte, nostra compagna di viaggio sulle strade della vita,
ogni volta che contempliamo le cose grandi che l’Onnipotente ha fatto in te,
proviamo una così viva malinconia per le nostre lentezze,
che sentiamo il bisogno di allungare il passo per camminarti vicino.
Asseconda il nostro desiderio di prenderti per mano,
e accelera le nostre cadenze di camminatori un po’ stanchi.
Divenuti anche noi pellegrini nella fede, non solo cercheremo il volto del Signore,
ma, contemplandoti quale icona della sollecitudine umana verso coloro che si trovano nel bisogno,
raggiungeremo in fretta la città
recandole gli stessi frutti di gioia che tu portasti un giorno a Elisabetta lontana.
1. L’AVVENTO
1.1. La storia e il significato del tempo di Avvento
Le vere origini dell’Avvento sono incerte e le notizie che si hanno sono scarse. Occorre distinguere elementi riguardanti pratiche ascetiche e altri di carattere propriamente liturgico; un avvento come tempo di preparazione al Natale e un avvento che celebra la venuta gloriosa di Cristo (Avvento escatologico). L’Avvento è un tempo liturgico tipico dell’Occidente; l’Oriente ha soltanto una breve preparazione di pochi giorni al Natale.
Si hanno notizie dell’Avvento dal IV sec. e questo tempo si caratterizza sia in senso escatologico sia come preparazione al Natale. Sul significato originario dell’Avvento, perciò, si è molto discusso, optando chi per la tesi dell’Avvento natalizio, chi per la tesi dell’Avvento escatologico. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha intenzionalmente voluto conservare ambedue i caratteri di preparazione al Natale e di attesa della seconda venuta di Cristo.
1.2. La struttura attuale dell’Avvento
«L’Avvento è tempo di attesa, di conversione, di speranza:
attesa-memoria della prima, umile venuta del Salvatore nella nostra carne mortale; attesa-supplica dell’ultima, gloriosa venuta di Cristo, Signore della storia e Giudice universale;
conversione, alla quale spesso la Liturgia di questo tempo invita con la voce dei profeti e soprattutto di Giovanni Battista; «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,2);
speranza gioiosa che la salvezza già operata da Cristo (cfr. Rm 8,24-25) e le realtà di grazia già presenti nel mondo giungano alla loro maturazione e pienezza, per cui la promessa si tramuterà in possesso, la fede in visione, e “noi saremo simili a lui e lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,2)».
L’Avvento è costituito da quattro domeniche. Questo tempo liturgico, pur conservando una sua unità, come emerge dai testi liturgici e soprattutto dalla lettura quasi quotidiana del profeta Isaia, è praticamente formato da due periodi:
dalla prima Domenica di Avvento al 16 dicembre è posto in maggiore evidenza l’Avvento escatologico e orienta gli animi all’attesa della venuta gloriosa di Cristo;
dal 17 al 24 dicembre sia nella Messa, sia nella Liturgia delle Ore, tutti i testi sono indirizzati più direttamente alla preparazione del Natale.
Il contenuto delle letture bibliche, soprattutto del Vangelo, focalizza per ogni domenica di Avvento un tema specifico in ciascuno dei tre cicli liturgici: la vigilanza nell’attesa del Cristo (prima domenica); l’invito alla conversione (seconda domenica); la testimonianza data a Gesù dal Precursore (terza domenica); l’annuncio della nascita di Gesù (quarta domenica). Nei giorni feriali è a disposizione un’unica serie di pericopi. Nella prima parte dell’Avvento, fino al 16 dicembre, si legge in maniera progressiva ma discontinua Isaia (il grande profeta della speranza messianica), nella prima lettura. A queste letture fanno eco alcuni brani evangelici che sono in qualche modo connessi con la nascita del Signore e con la promessa della sua venuta escatologica. Ma a partire dal giovedì della seconda settimana si leggono tutti i passi evangelici che riguardano Giovanni Battista. Nella seconda parte dell’Avvento, dal 17 dicembre in poi, si leggono nella prima lettura profezie messianiche dell’Antico Testamento e si proclamano i testi evangelici dell’infanzia, riportati dagli evangelisti Matteo e Luca.
Nella preghiera liturgica, l’Avvento è presentato come preparazione alla venuta di Cristo, venuta che alle volte non viene specificata, ma che normalmente è identificata con l’incarnazione o con il ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi. Le preghiere Collette dell’Avvento, soprattutto quelle dell’ultima settimana, dal 17 al 24 dicembre, mettono l’accento prevalentemente sull’imminente celebrazione della nascita di Gesù.
La Liturgia, quindi, contempla ambedue le venute di Cristo in intimo rapporto tra loro. La nascita di Gesù prepara l’incontro definitivo con lui. Siamo, in qualche modo, di fronte al mistero di un’unica venuta, nel senso che la prima inizia già ciò che verrà portato a compimento nella seconda.
La venuta ultima del Signore è vista frequentemente come incontro con Cristo, presentato nella prospettiva della parabola dei servi vigilanti (Mt 24,44-51; Mc 13,33-37; Lc 12,35-48).
Anche se di minore importanza simbolico-formativa rispetto al ciclo della Pasqua, questo tempo liturgico esprime alcuni valori indispensabili per la vita ecclesiale: Avvento-Natale-Epifania ci ricordano la dimensione storica della salvezza. Dio agisce nei fatti della storia dando a essi un indirizzo salvifico. Conseguentemente si pone anche in evidenza l’attesa operosa per disporsi al dono della salvezza; l’incontro con il Signore che entra nella nostra vita; la manifestazione attiva di ciò che il Signore compie in noi perché diventi dono per gli altri.
1.3. Le figure dell’Avvento
Dono per ciascuno di noi ma, soprattutto, per il Signore che è venuto, che viene nell’oggi della nostra vita e che verrà alla fine dei tempi, sono tre figure bibliche, le quali si mostrano per noi “modelli” e “guide”, in quanto caratterizzano il tempo liturgico dell’Avvento; sono il profeta Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Di quest’ultima, per il singolare ed unico ruolo che ha assunto nella storia della nostra salvezza, vogliamo particolarmente soffermare la nostra riflessione.
1.3.1. Il profeta Isaia e Giovanni Battista
Un’antichissima ed universale tradizione ha assegnato all’Avvento la lettura del profeta Isaia perché in lui, più che negli altri profeti, si trova un’eco della grande speranza che ha confortato il popolo eletto durante i secoli duri e decisivi della sua storia. Le pagine più significative del libro di Isaia sono proclamate durante l’Avvento, sia nella Liturgia della Messa che in quella delle Ore, e costituiscono un annuncio di speranza perenne per gli uomini di tutti i tempi.
Giovanni Battista è l’ultimo dei profeti e riassume nella sua persona e nella sua parola tutta la storia precedente nel momento in cui sfocia nel suo compimento. Bene incarna, pertanto, lo spirito dell’Avvento. Egli è il segno dell’intervento di Dio per il suo popolo; quale precursore del Messia ha la missione di preparare le vie del Signore (cfr. Is 40,3), di offrire ad Israele la «conoscenza della salvezza» (cfr. Lc 1,77-78) e soprattutto di indicare Cristo già presente in mezzo al suo popolo (cfr. Gv 1,29-34).
1.3.2. Maria
L’Avvento è il tempo liturgico nel quale (a differenza degli altri dove purtroppo è assente) si pone felicemente in rilievo la relazione e la cooperazione di Maria al mistero della redenzione. Ciò avviene come “dal di dentro” della celebrazione stessa e non per sovrapposizione o per aggiunta devozionistica. Non è esatto, però, chiamare l’Avvento il miglior “mese mariano”, proprio perché questo tempo liturgico è essenzialmente celebrazione del mistero della venuta del Signore, mistero al quale è particolarmente legata la cooperazione di Maria.
Nei testi della Liturgia dell’Avvento, possiamo dire, con le parole della costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II che Maria «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. Con lei, eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia allorché il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana, per liberare con i misteri della sua carne l’uomo dal peccato».
Con l’immagine biblica della “figlia di Sion” la Liturgia dell’Avvento ci ricorda che in Maria culmina l’attesa messianica di tutto il popolo di Dio dell’Antico Testamento; questa attesa in lei si raccoglie in una aspirazione più ardente, in una preparazione spirituale più totale della venuta del Signore.
L’Avvento, nella sua immediata preparazione al Natale, ricorda particolarmente la divina maternità di Maria. Il Figlio di Dio non discende dal cielo con un corpo adulto, plasmato direttamente dalla mano di Dio (cfr. Gn 2,7), ma entra nel mondo come «nato da donna» (Gal 4,4), salvando il mondo, in questo modo, dal di dentro. Maria è colei che, nel mistero dell’Avvento e dell’Incarnazione, congiunge il Salvatore al genere umano.
Il Papa Paolo VI, nella Esortazione apostolica “Marialis cultus”, spiega: «Nel tempo di avvento, la liturgia, oltre che in occasione della solennità dell’8 dicembre – celebrazione congiunta della concezione immacolata di Maria, della preparazione radicale (cfr. Is 11,1,10) alla venuta del Salvatore, e del felice esordio della chiesa senza macchia e senza ruga -, ricorda frequentemente la beata Vergine soprattutto nelle ferie dal 17 al 24 dicembre e, segnatamente, nella domenica che precede il natale, nella quale fa risuonare antiche voci profetiche sulla vergine Maria e sul Messia e legge episodi evangelici relativi alla nascita imminente del Cristo e del suo Precursore.
In tal modo i fedeli, che vivono con la liturgia lo spirito dell’avvento, considerando l’ineffabile amore con cui la vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, “vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode”. Vogliamo, inoltre, osservare come la liturgia dell’avvento, congiungendo l’attesa messianica e quella del glorioso ritorno di Cristo con l’ammirata memoria della Madre, presenti un felice equilibrio cultuale, che può essere assunto quale norma per impedire ogni tendenza a distaccare – come è accaduto talora in alcune forme di pietà popolare – il culto della Vergine dal suo necessario punto di riferimento, che è Cristo; e faccia sì che questo periodo – come hanno osservato i cultori della liturgia – debba esser considerato un tempo particolarmente adatto per il culto alla madre del Signore: tale orientamento noi confermiamo, auspicando di vederlo dappertutto accolto e seguito».
Infatti, la solennità dell’Immacolata Concezione celebrata all’inizio dell’Avvento (8 dicembre), non è una parentesi o una rottura dell’unità di questo tempo liturgico, ma fa parte del mistero. Maria immacolata è il prototipo dell’umanità redenta, il frutto più eccelso della venuta redentiva di Cristo. In lei, come canta il prefazio della solennità, Dio «ha segnato l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza».
La solennità dell’Immacolata, profondamente sentita dai fedeli, dà luogo a molte manifestazioni di pietà popolare, la cui precipua espressione è lanovena dell’Immacolata.
Non c’è dubbio che il contenuto della solennità della Concezione pura e senza macchia di Maria, in quanto preparazione fondamentale alla nascita di Gesù, si armonizza bene con alcuni temi portanti dell’Avvento: anch’essa rinvia alla lunga attesa messianica e richiama profezie e simboli dell’Antico Testamento, usati pure dalla Liturgia dell’Avvento. Celebrando, infatti, la novena dell’Immacolata metteremo in luce i testi profetici, che partendo dalla predizione di Genesi 3,15 sfociano nel saluto di Gabriele alla «piena di grazia» (Lc 1,28) e nell’annuncio della nascita del Salvatore (cfr. Lc 1,31-33).
1.4. La teologia dell’Avvento
L’Avvento ha un suo ricco contenuto teologico; considera, infatti, tutto il mistero della venuta del Signore nella storia fino al suo concludersi. I diversi aspetti del mistero si richiamano reciprocamente e si fondono in mirabile unità. L’Avvento ricorda, prima di tutto, la “dimensione storico-sacramentale” della salvezza. Il Dio dell’Avvento è il Dio della storia, il Dio pienamente venuto per la salvezza dell’uomo in Gesù di Nazaret, nel quale si rivela il volto del Padre (cfr. Gv 14,9). La dimensione storica della rivelazione ricorda la concretezza della salvezza piena dell’uomo, di tutto l’uomo, di tutti gli uomini, quindi il nesso intrinseco tra evangelizzazione e promozione umana.
L’Avvento è il tempo liturgico nel quale viene fortemente evidenziata la “dimensione escatologica” del mistero cristiano. Dio ci ha riservati per la salvezza (cfr. 1 Ts 5,9), ma si tratta di una eredità che si rivelerà soltanto alla fine dei tempi (cfr. 1 Pt 1,5). La storia è il luogo dell’attuarsi delle promesse di Dio ed è protesa verso il “giorno del Signore” (cfr. 1 Cor 1,8; 5,5). Cristo è venuto nella nostra carne e, dopo la morte, si è manifestato e rivelato agli apostoli e a testimoni prescelti da Dio come risorto (cfr. At 10,40-42) e apparirà glorioso alla fine dei tempi (At 1,11). La Chiesa, nel suo pellegrinaggio terreno, vive continuamente la tensione del già della salvezza tutta compiuta in Cristo e del non ancora della sua attuazione in noi e della sua piena manifestazione nel ritorno glorioso del Signore giudice e salvatore.
L’Avvento, infine, mentre ci rivela le vere, profonde e misteriose dimensioni della venuta di Dio, ricorda anche l’impegno missionario della Chiesa e di ogni cristiano per l’avvento del Regno di Dio. La missione della Chiesa per l’annuncio del Vangelo a tutte le genti è essenzialmente fondata sul mistero della venuta di Cristo, mandato dal Padre; sulla venuta dello Spirito Santo, mandato dal Padre e dal (o “per il”) Figlio.
1.5. La spiritualità dell’Avvento
La comunità cristiana, con la Liturgia dell’Avvento, è chiamata a vivere alcuni atteggiamenti essenziali all’espressione evangelica della vita: l’attesa vigilante e gioiosa, la speranza, la conversione.
L’atteggiamento dell’attesa caratterizza la Chiesa e il cristiano perché il Dio della rivelazione è il Dio della promessa che in Cristo ha manifestato tutta la sua fedeltà all’uomo (cfr. 2 Cor 1,20). Durante l’Avvento la Chiesa non recita la parte degli ebrei che attendevano il Messia promesso, ma vive l’attesa d’Israele a livelli di realtà e definitiva manifestazione di questa realtà, che è Cristo. Ora vediamo «come in uno specchio», ma verrà il giorno in cui «vedremo faccia a faccia» (cfr. 1 Cor 13,12). La Chiesa vive questa attesa nella vigilanza e nella gioia. Perciò prega: «Maranatha: Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,17.20).
L’Avvento, di conseguenza, celebra il «Dio della speranza» (Rm 15,13) e vive la gioiosa speranza (cfr. Rm 8,24-25). Il canto che caratterizza l’Avvento, fin dalla prima domenica, è quello del Salmo 24: «A te, Signore, elevo l’anima mia, Dio mio, in te confido: che io non sia confuso. Non trionfino su di me i miei nemici. Chiunque spera in te non resta deluso».
Dio, entrando nella storia, chiama in causa l’uomo. La venuta di Dio in Cristo richiede continua conversione; la novità del Vangelo è una luce che richiede un pronto e deciso risvegliarsi dal sonno (cfr. Rm 13,11-14). Il tempo dell’Avvento, soprattutto attraverso la predicazione del Battista, è un richiamo alla conversione per preparare le vie del Signore e accogliere il Signore che viene. L’Avvento, infine, educa a vivere quell’atteggiamento dei «poveri di YHWH», miti, umili, disponibili e che Gesù ha proclamato beati (cfr. Mt 5,3-12).
2. RALLEGRATEVI NEL SIGNORE
La Liturgia dell’Avvento è caratterizzata dell’invito particolare “alla gioia” che accompagna interamente questo tempo: noi attendiamo Cristo, Signore della Storia, che alla fine del tempo verrà nella gloria per renderci tutti pienamente partecipi del suo mistero di salvezza e, quindi di gioia! Ma nel tempo la nostra gioia è anche orientata alla continua venuta del nostro Salvatore in mezzo a noi, riconoscibile nella sua promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) ed, in modo particolare, nell’Eucaristia, dove Egli è presente realmente in mezzo a noi. Egli realizza, inoltre, la Sua presenza in mezzo a noi attraverso la presenza del fratello affamato, assetato, forestiero, nudo, ammalato, o in carcere ecc., che ogni giorno incontriamo sulla nostra strada, poiché Egli ci insegna: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (cfr. Mt 25,31-46).
Tuttavia, nel mistero del Natale, che la Liturgia ci dona di celebrare, preparandoci in questo tempo, la “Gioia” vera ed unica si rende visibile nel Bambino di Betlemme, scatenando nei nostri cuori una letizia particolareggiata che, a livello affettivo, nessun tempo riesce a trasmetterci.
Preparandoci, pertanto, a celebrare il mistero dell’Incarnazione, vogliamo aprire, anzi “Spalancare” i nostri cuori a Cristo che viene. Per far ciò, come ci siamo detti all’inizio di questo messaggio, vogliamo farci aiutare da un brano della Lettera ai Filippesi dell’Apostolo Paolo, brano che la Liturgia ci presenterà nella prossima Terza Domenica di Avvento.
«Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Fil 4,4-7).
L’invito alla gioia come pure il comando «Non angustiatevi per nulla», trovano per Paolo il loro fondamento nel fatto che «il Signore è vicino». “Signore” indica qui non solo Dio, ma Gesù, perché è in lui che Dio si avvicina all’umanità.
La lettera ai Filippesi mostra come la speranza del cristiano sia diversa dalla speranza di chi ostinatamente si impone di essere ottimista. Essa non si fonda su un sentimento di volontà personale, su una disposizione interiore all’ottimismo, ma sulla persona di Gesù che è garanzia dell’attesa per il futuro. Tre parole esprimono qui il risvolto personale e comunitario della speranza: gioia, fiducia, pace.
La gioia deriva dal fatto di vivere in comunione con Gesù e con gli altri. Chi afferma ciò non è un gaudente, ma un apostolo sofferente, in catene, che sollecita ripetutamente i Filippesi a gioire.
La fiducia: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti…». Abbandonarsi a Dio non è cosa indegna dell’uomo, non è un rifugio in un mondo irreale, ma fa parte della vera sapienza, perché «il Signore veglia sul cammino dei giusti» (1 Sam 2,9).
La pace: è il risultato di quanto precede. Come si vede dalle poche parole di Paolo, la pace non è assenza di preoccupazioni, ma frutto della potenza di Dio che custodisce il cuore e i pensieri dei credenti in Cristo Gesù, il che è ben diverso dal semplice “non avere pensieri”. La pace vera non è superficiale, ma afferra l’uomo là dove lui decide di se stesso, nella mente e nel cuore, perché così anche le sue azioni e relazioni saranno azioni e relazioni di pace.
2.1. Cristo è nostra gioia
È tempo di superare la paura, lo smarrimento, sta per nascere il Salvatore. Dio si fa vicino. Questa certezza ci deve far trasalire di gioia.
La vicinanza di Dio genera gioia. Egli viene a condividere la nostra vita. Viene a trasformare il nostro quotidiano in danza di gioia. Viene a ridisegnare la sua immagine logorata dal tempo e dal peccato nel nostro cuore. Viene a rinnovare i tratti del suo volto in noi.
La venuta del Signore, dunque, riempie di gioia. E la gioia è la certezza che Dio è in mezzo a noi, che Dio ci ama e che il suo Regno è presente in mezzo a noi! Quindi, la gioia è condivisione, è qualcosa che si esaurisce presto nel tempo se non è condivisa, poiché è verità di fede: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» (At 20,35).
Una mancanza alla gioia è un tradimento alla fede perché nessun problema sfugge al suo potere: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13), e la forza è la gioia.
Tra i peccati del cristiano, i peccati contro la gioia non sono per nulla insignificanti: pochi confessano di aver peccato contro la gioia! Eppure, chi tradisce la gioia, tradisce l’amore! (cfr. Gv 15,15-17). Dopo il dono della pace, il dono della gioia! Due parole che ritornano continuamente negli scritti dei primi cristiani. I giudei si auguravano la pace; i greci la gioia. Il cristianesimo ha riunito i due termini facendo di un semplice augurio formale un’effettiva benedizione.
La mancanza di gioia è peccato contro la vita, soprattutto la vita dello Spirito. Chi è triste tradisce lo Spirito. Il pessimista che è sempre scontento, che non è nella gioia, non riconosce la presenza, l’opera di Dio nel mondo e nei fratelli.
La mancanza di gioia è tradimento della testimonianza cristiana. Noi siamo responsabili di aver tradito il cristianesimo perché abbiamo tradito la gioia. Una persona che ha trovato Cristo, ha trovato tutto.
La mancanza di gioia è peccato contro la vocazione. La vocazione sacerdotale o religiosa esigono di essere vissute nella gioia, nella festa. Un matrimonio triste è un matrimonio fallito. E’ impossibile essere felici se si segue Gesù a metà. Non vi è felicità possibile a mezza strada tra il mondo o se stessi ed il Cristo a cui si è dato tutto.
Compito e prospettiva di oggi è tenere fisso il nostro sguardo su Cristo, nostra gioia. Parafrasando, potremmo dire con l’evangelista Giovanni: “In principio era la Gioia e la Gioia era presso Dio e la Gioia era Dio». Ecco delineato il tracciato e il punto d’arrivo: Cristo, nostra gioia. E’ a lui che dobbiamo fare riferimento, con lui confrontarci.
2.2. L’uomo non può vivere senza “gioia”
Affacciandosi al mondo, non prova l’uomo, col desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità? Come ognuno sa, vi sono diversi gradi in questa “felicità”. La sua espressione più nobile è la gioia, o la “felicità” in senso stretto, quando l’uomo, a livello delle facoltà superiori, trova la sua soddisfazione nel possesso di un bene conosciuto e amato. Così l’uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell’incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. A maggior ragione egli conosce la gioia o la felicità spirituale quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile.
Ma come non vedere pure che la gioia è sempre imperfetta, fragile, minacciata? Per uno strano paradosso, la coscienza stessa di ciò che costituirebbe, al di là di tutti i piaceri transitori, la vera felicità, include anche la certezza che non esiste felicità perfetta.
Queste difficoltà di raggiungere la gioia ci sembrano particolarmente acute oggi. La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene da altra parte: è spirituale. Il denaro, le comodità, l’igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Ciò giunge talvolta fino all’angoscia e alla disperazione, che l’apparente spensieratezza, la frenesia di felicità presente e i paradisi artificiali non riescono a far scomparire. In molte regioni, e talvolta in mezzo a noi, la somma di sofferenze fisiche e morali si fa pesante: tanti affamati, tante vittime di sterili combattimenti, tanti emarginati! Queste miserie sono meglio conosciute, illustrate dai “mass media”, non meno delle esperienze di felicità; opprimono la coscienza, senza che appaia molto spesso una soluzione umana alla loro dimensione.
Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia.
Noi abbiamo profonda compassione della pena di coloro sui quali la miseria e le sofferenze di ogni genere gettano un velo di tristezza; pensiamo, in particolare, a quelli che si trovano senza risorse, senza soccorso, senza amicizia, che vedono annientate le loro speranze umane. Essi sono più che mai presenti alla nostra preghiera, al nostro affetto. Noi non vogliamo certo che nessuno si abbatta, ma si impone la necessità di cercare rimedi capaci di portare la luce.
Gli uomini devono evidentemente unire i loro sforzi per procurare almeno il minimo di sollievo, di benessere, di sicurezza, di giustizia, necessari alla felicità, ai tanti fratelli che ne sono sprovvisti. Una tale azione solidale è già opera di Dio; essa corrisponde al comandamento di Cristo. Essa procura già la pace, ridona la speranza, rinsalda la comunione, apre alla gioia, per colui che dona come per colui che riceve perché, come già detto, vi è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr. At 20,35).
C’è bisogno, oggi quanto mai, di un paziente sforzo di educazione per imparare o gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il Regno di Dio.
Ma il problema ci appare soprattutto di ordine spirituale: è l’uomo, nella sua anima, che si trova sprovvisto nell’assumere le sofferenze e le miserie del nostro tempo. Esse lo opprimono quanto più gli sfugge il senso della vita; non è più sicuro di se stesso, della sua vocazione e del suo destino, che sono trascendenti. Egli ha desacralizzato l’universo ed ora l’umanità; ha talora tagliato il legame vitale che lo univa a Dio. Il valore degli esseri, la speranza non sono più sufficientemente assicurati. Dio gli sembra astratto, inutile: senza che lo sappia esprimere, il silenzio di Dio gli pesa. Sì, il freddo e le tenebre sono anzitutto nel cuore dell’uomo che conosce la tristezza. Si può accennare qui alla tristezza dei non-credenti, allorché lo spirito umano, creato a immagine e a somiglianza di Dio, e perciò a Lui orientato come al proprio bene supremo, unico, resta senza conoscerlo chiaramente, senza amarlo, e di conseguenza senza provare la gioia, che arreca la conoscenza benché imperfetta di Dio e la certezza di avere con Lui un vincolo che nemmeno la morte potrebbe infrangere.
Chi non ricorda le parole di Sant’Agostino: «Tu ci hai creati per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te»? Perciò, è col diventare maggiormente presente a Dio e con lo staccarsi dal peccato che l’uomo può veramente entrare nella gioia spirituale.
Il nostro proposito, pertanto, è precisamente quello di riscoprire le sorgenti della gioia cristiana. E, poiché nessuno è escluso dalla gioia portata del Signore, preparandoci al suo Natale, che ci darà occasione di contemplarlo nella sua umanità, potremo meglio accogliere le esperienze di tutta una gamma di gioie umane, di quelle gioie semplici e quotidiane, alla portata di tutti, che Egli, Verbo fatto Carne, ha manifestamente conosciuto, apprezzato ed esaltato.
2.3. Gioia dei santi e di tutti noi
La testimonianza di venti secoli di Cristianesimo fa sentire l’eco di innumerevoli modelli che, secondo la diversità dei carismi ricevuti, illumina il mistero della gioia cristiana.
Al primo posto ecco la Vergine Maria, piena di grazia, la Madre del Salvatore. Disponibile all’annuncio venuto dall’alto, essa, la serva del Signore, la sposa dello Spirito Santo, la Madre dell’eterno Figlio, fa esplodere la sua gioia dinanzi alla cugina Elisabetta, che ne esalta la fede: «L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore… D’ora in poi tutte le generazioni mi c
hiameranno beata» (Lc 1,46-55). Essa, meglio di ogni altra creatura, ha compreso che Dio compie azioni meravigliose: santo è il suo Nome, egli mostra la sua misericordia, egli innalza gli umili, egli è fedele alle sue promesse. Non che l’apparente corso della vita di Maria esca dalla trama ordinaria: ma essa riflette sui più piccoli segni di Dio, meditandoli nel suo cuore. Non che le sofferenze le siano state risparmiate: essa sta in piedi accanto alla croce, associata in modo eminente al sacrificio del Servo innocente, Lei ch’è madre dei dolori.
Ma essa è anche aperta senza alcun limite alla gioia della Risurrezione; ed essa è anche elevata, corpo e anima, alla gloria del Cielo. Prima creatura redenta, Immacolata fin dalla concezione, dimora incomparabile dello Spirito, abitacolo purissimo del Redentore degli uomini, essa è al tempo stesso la Figlia prediletta di Dio e, nel Cristo, la Madre universale. Essa è il tipo perfetto della Chiesa terrena e glorificata. Vicina al Cristo, essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa e, giustamente, noi suoi figli qui in terra, volgendoci verso colei che è madre della speranza e madre della grazia, la invochiamo come la causa della nostra gioia: Causa nostrae laetitiae.
Dopo Maria, noi incontriamo l’espressione della gioia più pura, più ardente, là dove la Croce di Gesù viene abbracciata con l’amore più fedele: presso i martiri, ai quali lo Spirito Santo ispira, al culmine stesso della prova, un’attesa appassionata della venuta dello Sposo.
Ma l’effusione del sangue non è l’unica via: per coloro cui lo Spirito Santo consuma il cuore, vi sono diverse maniere di morire a se stessi e di accedere alla gioia santa della risurrezione; la lotta per il Regno include necessariamente il passaggio attraverso una passione d’amore. Questa gioia tanto ampia e profonda scaturisce da una comunione umano-divina, e aspira a una comunione sempre più universale. In nessun modo potrebbe indurre colui che la gusta ad una qualche attitudine di ripiegamento su di sé. Essa dà al cuore un’apertura universale sul mondo degli uomini, mentre gli fa sentire, come una ferita, la nostalgia dei beni eterni.
Ascoltando questa voce molteplice e unisona dei santi, avremmo forse dimenticato la presente condizione della nostra società odierna, in apparenza tanto poco interessata ai beni soprannaturali? Avremmo forse sopravvalutato le aspirazioni spirituali dei cristiani del nostro tempo? Avremmo forse riservato la nostra riflessione unicamente ad un piccolo numero di persone che frequentano la Parrocchia? Non possiamo ignorare che il Vangelo è stato annunziato prima di tutto ai poveri e agli umili, nello splendore della sua semplicità e nella pienezza del suo contenuto. E non possiamo neppure dimenticare che “tutti”, nessuno escluso, per mezzo del Battesimo, siamo chiamati alla santità!
Nel ricordare tutto ciò, siamo invitati ad orientare il nostro sguardo, innanzitutto, al mondo dei bambini. Finché trovano nell’amore di chi è loro vicino la sicurezza di cui hanno bisogno, essi hanno anche la capacità di assimilazione, di stupore, di fiducia, di spontaneità nel donarsi. Essi sono idonei alla gioia evangelica. Chi vuole entrare nel Regno, ci dice Gesù, deve innanzitutto guardare a loro (cfr. Mc 10,14-15).
E ancora, siamo chiamati a raggiungere col pensiero tutti coloro che ricoprono piena responsabilità familiare, professionale, sociale. Il peso dei loro compiti, in un mondo estremamente instabile, toglie loro troppo spesso la possibilità di gustare le gioie quotidiane; tuttavia esse esistono, e lo Spirito Santo vuole aiutarli a riscoprirle, a purificarle, a condividerle.
Pensiamo al mondo dei sofferenti, a tutti coloro che stanno volgendo al termine della vita. La gioia di Dio bussa alla porta delle loro sofferenze fisiche e morali, non certamente per deriderli, ma per compiervi la sua paradossale opera di trasfigurazione.
Il nostro spirito e il nostro cuore si devono rivolgere anche verso coloro che vivono al di là della sfera visibile del Popolo di Dio. Conformando la loro vita ai richiami più profondi della propria coscienza, che è l’eco della voce di Dio, anch’essi sono sulla via della gioia.
In ultima analisi, vogliamo guardare al mondo dei giovani e impegnarci a dar loro coraggio e speranza. Ci sembra, infatti, che la presente crisi del mondo, caratterizzata per molti giovani da una grande confusione, denunci da una parte l’aspetto della vecchiaia – del tutto superato – di una civiltà commerciale, edonistica, materialistica, che tenta ancora di spacciarsi come portatrice d’avvenire. Contro questa illusione, la reazione istintiva di numerosi giovani, pur nei suoi eccessi, esprime un valore reale. Questa generazione è in attesa di qualche altra cosa. Privata repentinamente di tradizioni protettive, e poi amaramente disillusa dalla vanità e dal vuoto spirituale delle false novità, delle ideologie atee, di certi misticismi pericolosi, non sta forse per scoprire o per ritrovare la novità sicura e inalterabile del mistero divino rivelato in Gesù Cristo? Per questo motivo, dobbiamo dedicarci in modo più diretto ai giovani cristiani del nostro tempo, promessa della Chiesa di domani, per renderli partecipi di questa celebrazione della gioia spirituale. Dobbiamo invitarli cordialmente e renderli attenti ai richiami interiori che pervengono loro, stimolarli ad elevare il loro sguardo, il loro cuore, le loro fresche energie verso le altezze, ad affrontare lo sforzo delle ascensioni dello spirito.
Questa è la gioia che dobbiamo offrir loro con la nostra testimonianza.
2.4. L’impegno per la Pace
Dalla gioia scaturisce un atteggiamento di affabilità verso tutti. Il motivo della gioia e della benevolenza verso tutti è che il «Signore è vicino!». Egli è sempre presente ai suoi fedeli e li sostiene con la sua fedeltà e il suo amore. Il tempo della prova è breve, per cui bisogna escludere ogni angustia e adottare un atteggiamento costante di fiducia in Dio, al quale affidare tutte le nostre necessità in un atteggiamento di preghiera continua, assidua, instancabile, preghiera di supplica e di ringraziamento. In questo modo i cuori e le menti saranno pieni della pace di Dio. Pace nel senso pregnante delloshalom biblico, che è serenità e armonia per tutto il creato, compimento delle promesse di Dio e che deve essere testimoniato mettendo in pratica, come Gesù ha detto e ha fatto, gli insegnamenti e i precetti divini. Pregare e agire rettamente nella gioia e nella pace è possibile perché il Signore morto, risorto e innalzato alla gloria del cielo continua ad essere vicino a coloro che mettono in pratica i suoi insegnamenti.
L’Avvento che ci apprestiamo a celebrare è tempo di conversione, di fiducia nella fedeltà di Dio e di speranza della realizzazione del Regno di Dio.
Il Regno, però, che si è manifestato fra noi attraverso Gesù, chiede da noi l’impegno a vivere secondo giustizia e generosità ad imitazione di Dio, che, per bocca dei profeti, minaccia Israele e le nazioni perché si convertano, ma è pronto a mutare il suo atteggiamento in benevolenza e misericordia portatrici di salvezza.
La “pace di Dio”, lo shalom, non la spensieratezza poco cosciente, deve caratterizzare la vita dei cristiani, che credono nel Dio fedele.
Bisogna cominciare dalla vita di ogni giorno: agire onestamente nella professione, non approfittare della propria condizione per opprimere i più deboli e arricchirsi in maniera disonesta. Le indicazioni etniche del Battista sono ancora attuali nel nostro mondo: basti pensare alla corruzione, all’usura, allo sfruttamento degli immigrati, alla miseria e alla malattia conseguente, che attanaglia un terzo dell’umanità.
Nel nostro mondo domina il principio dell’accumulo delle ricchezze, non quello della condivisione e, nonostante alcuni lodevoli tentativi controcorrente, dominano meccanismi economici, sociali e politici che portano i ricchi a diventare sempre più ricchi e potenti, mentre i poveri muoiono di fame o di malattie legate alla denutrizione.
Le Chiese, molte volte insieme fra confessioni diverse, hanno incominciato a lavorare in modo da incidere sulla trasformazione di questo mondo, perché la giustizia si affermi sulla corruzione e la pace possa regnare. Molta strada, però, è ancora da fare; non si deve mai abbassare la guardia ma, nella fiducia serena nel Signore vicino, bisogna sempre rinnovare il proprio impegno nelle piccole cose come nelle grandi.
Ancora una volta, in questi ultimi giorni, il terrorismo ha compiuto la sua opera disastrosa, particolarmente devastante in Iraq ed in Turchia.
A questo proposito vogliamo fare nostre le parole del Papa: «Mentre continuo a pregare per le vittime, rinnovo l’attestazione della mia vicinanza spirituale alle tante famiglie che piangono i loro morti. Esprimo al tempo stesso viva solidarietà a tutti coloro che si adoperano per curare i feriti e rimediare ai danni provocati. Nessuno può abbandonarsi alla tentazione dello scoramento o della ritorsione: il rispetto della vita, la solidarietà internazionale, l’osservanza della legge devono prevalere sull’odio e sulla violenza.
In tale contesto, rinnovo la mia ferma condanna anche per ogni azione terroristica compiuta, in questi ultimi tempi, in Terra Santa. Debbo al tempo stesso rilevare che, purtroppo, in quei luoghi il dinamismo della pace sembra essersi fermato. La costruzione di un muro tra il popolo israeliano e quello palestinese è vista da molti come un nuovo ostacolo sulla strada verso una pacifica convivenza. In realtà, non di muri ha bisogno la Terra Santa, ma di ponti! Senza riconciliazione degli animi, non ci può essere pace.
Affidiamo al Dio della misericordia e della pace, per intercessione di Maria Santissima, i popoli di quella parte del mondo. I responsabili abbiano il coraggio di riprendere il dialogo e il negoziato, liberando così la strada verso un Medio Oriente riconciliato nella giustizia e nella pace».
Ricordando questo messaggio di pochi giorni fa’, non possono non ritornare alla mente le tristi immagini dell’attentato terroristico di Nassyria, insieme all’omaggio della nostra nazione ai fratelli che lì hanno perso la loro vita. Tuttavia, non possiamo restare legati solo allo sconforto, ma dobbiamo impegnarci in ogni modo, secondo le nostre capacità e possibilità, con la preghiera e con l’impegno, ad essere costruttori di pace! Vogliamo ricordare anche la testimonianza del nostro Papa: «Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: “Mai più la guerra!”, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!».
E possiamo concludere rievocando le parole, attuali oggi quanto mai, del beato Giovanni XXIII: «Queste nostre parole, che abbiamo voluto dedicare ai problemi che più assillano l’umana famiglia, nel momento presente, e dalla cui equa soluzione dipende l’ordinato progresso della società, sono dettate da una profonda aspirazione, che sappiamo comune a tutti gli uomini di buona volontà: il consolidamento della pace nel mondo. […] Abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene. Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine […] fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà.
È questa un’impresa tanto nobile ed alta che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà, non possono da sole portare ad effetto. Affinché l’umana società sia uno specchio il più fedele possibile del regno di Dio, è necessario l’aiuto dall’alto. Per questo la nostra invocazione […] sale più fervorosa a colui che ha vinto nella sua dolorosa passione e morte il peccato, elemento disgregatore e apportatore di lutti e squilibri ed ha riconciliato l’umanità col Padre celeste nel suo sangue: “Poiché egli è la nostra pace, egli che delle due ne ha fatta una sola… E venne ad evangelizzare la pace a voi, che eravate lontani, e la pace ai vicini” (Ef 3,14-17).
Allontani egli dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace».