Riflessione Avvento “Vegliate!”

L’AVVENTO CON SANT’AGOSTINO – 4° Settimana
13 Settembre 2016
Riflessione Avvento “Andiamo con gioia incontro al Signore”
13 Settembre 2016

Riflessione Avvento “Vegliate!”

Lettera – riflessione per l’Avvento 

 

 


Introduzione

 

«La gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza»1. Con questa esortazione, che introduce l’Annunzio del giorno di Pasqua, rivolto ogni anno alle nostre comunità nella solennità dell’Epifania del Signore, accogliamo da Dio, Trinità d’Amore, il dono di un nuovo Anno liturgico, dove torneremo, come suggerisce la stessa esortazione, a vivere e celebrare il mistero di Cristo Salvatore e Redentore, incarnato, morto, risorto, glorificato, che effonde su di noi il dono dello Spirito.

Mentre ci rimettiamo in cammino “con Cristo, per Cristo e in Cristo”, vogliamo ripercorrere la Storia della Salvezza per poterci sentire meglio “attori” e non “spettatori” di quell’avvenimento, tanto passato quanto presente e futuro, che coinvolge la nostra vita, la nostra intera esistenza.

Dovendo fare la strada insieme, come ci siamo detti più volte, è giusto che guardiamo avanti, scambiandoci in modo sommesso alcuni spunti di riflessione. Ogni tappa del nostro cammino scandisce sempre il prolungamento di una strada antica, percorsa da tante vicende, che porta il segno di tante stagioni ricche di eredità e di ricordi lieti e tristi. Ha davanti una prospettiva apportatrice di passaggi originali e irrepetibili, che è importante affrontare con grande impegno e coraggio, perché non si ripresenteranno più. Situazioni piene di novità che si intrecceranno nella nostra vita e fatti che lasceranno una loro impronta per sempre.

L’Anno liturgico inizia con l’Avvento, tempo del Signore che viene. Ci prepariamo a rivivere nel Natale la prima venuta, piena di amore, del Figlio di Dio tra gli uomini e ci orientiamo all’attesa del Signore che verrà una seconda volta alla fine dei tempi. L’insieme di memorie e di attese ci porta ad invocare ed accogliere il continuo venire del Signore nell’oggi della Chiesa. Credo che possiamo vivere questa triplice dimensione del Gesù che viene ripercorrendo i giorni dell’Avvento come giorni di fede intensamente vissuta e di gioiosa ripresa spirituale, nel segno del “Vangelo della carità” che la Chiesa si impegna continuamente a testimoniare con più coraggiosa coerenza.

In questa riflessione, pertanto, vogliamo tentare di cogliere il profondo significato di questo tempo liturgico, perché possiamo bene non solo celebrarlo ma, soprattutto, viverlo in maniera del tutto originale, nuova, diversa, decisiva per la nostra vita di fede, sentendoci incoraggiati a preparare, con ogni mezzo ed in ogni modo, la via al Signore che viene2.


  1. Il Tempo di Avvento.

 

«Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!» (Mc 13,37).

L’Avvento è un periodo di quattro settimane che apre, ogni anno, il ciclo delle celebrazioni del mistero di Cristo. Come gli altri tempi, ha una festa come punto di riferimento e dalla quale trae il suo preciso significato: il Natale di Cristo.

La festa del Natale risale alla prima metà del IV secolo, ma solo nel VI secolo si è formato un tempo di preparazione ascetico-penitenziale che assumerà poi un carattere liturgico.

Al centro di questo periodo si trova l’adventus o venuta del Signore, quella storica nella carne e quella finale nella gloria. Così la parola latina, italianizzata avvento, passò a designare il periodo che precede il Natale. Anche nella struttura attuale, l’Avvento conserva intatte, anzi, più marcate, le due caratteristiche: nelle prime settimane orientato alla venuta gloriosa di Cristo, nelle ultime (in particolare dal 17 dicembre) concentrato sulla nascita storica, l’incarnazione del Verbo, del Figlio di Dio. Sono le letture del vangelo a fornirci questa chiara prospettiva.

Quindi l’Avvento non è la commemorazione della lunga attesa del popolo ebraico, proteso verso il Messia, né semplice preparazione al Natale. E’ un tempo vissuto sotto il segno della venuta del Signore: della prima “venuta storica”, che inaugura il tempo di salvezza, e della seconda “venuta escatologica”, che ne sarà il compimento. La prima è fondamento della seconda e la seconda il suo coronamento. Due venute reali, due eventi storici strettamente connessi. Altrimenti la prima sarebbe relegata al passato e la seconda spostata al futuro.

Tra la prima e la seconda venuta si colloca la vita della Chiesa che celebra l’unico mistero di Cristo (il Cristo che è venuto e che verrà), celebra nell’oggi la sua “venuta” (la sua costante manifestazione come Salvatore), raccordando quella storica e quella finale. “Vieni, Signore!” è l’invocazione ardente della Chiesa primitiva che deve trasformarsi in aspirazione della Chiesa di oggi.

Le grandi figure dell’Avvento ci aiutano ad interpretare meglio la dinamica di questo tempo: il profeta Isaia lo annuncia, Giovanni Battista lo indica come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, Maria accoglie la parola divina dall’angelo Gabriele e porta in grembo il Figlio di Dio con ineffabile amore.

Tempo di attesa e di speranza, dunque, ma anche tempo di ascolto e di riflessione sul “regno” di giustizia e di pace inaugurato dal Messia e sull’identità divino-umana della persona di Cristo, secondo le indicazioni delle letture bibliche che sono state scelte con particolare cura.

La solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, fissata all’8 dicembre (a causa della sua natività, che celebriamo l’8 settembre), non ostacola il cammino dell’Avvento ma piuttosto esalta l’efficacia dell’opera del Salvatore che ha santificato la madre fin dal suo primo concepimento3.

***

Signore, il tempo dell’Avvento nel quale ci troviamo

ci obbliga alla grande meditazione antropologica,

alla scoperta della vera condizione della vita umana

e della nostra meravigliosa fortuna d’avere te

nostro fratello, Dio fatto uomo per la nostra salvezza.

Tu, Verbo di Dio, ti sei fatto uomo

affinché l’uomo potesse essere associato alla vita stessa di Dio.

L’uomo ha bisogno di te, o Cristo! Da sé egli non si salva.

Lo sforzo di escludere te dal pensiero moderno,

dai principi direttivi del sapere e dell’attività umana,

ha per risultato l’incertezza e poi la confusione;

e infine il conflitto della coscienza umana.

Il tuo Natale, o Cristo, è perciò festa grande per il mondo,

e festa sempre più grande per il mondo che cresce e aspira alla pienezza della vita.

Non spegniamo la lampada centrale del Natale

che è la fede nel Verbo di Dio fatto uomo,

ma teniamola accesa, affinché la luce, la bontà,

la gioia tua si diffonda nelle nostre anime e nelle nostre case.

E con te ricordiamo Maria, la portatrice di questa lampada[4].

 

  1. Svegliativi dal sonno!

 

«Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti» (Rm 13,11).

Dopo aver spiegato il carattere liturgico-ecclesiologico di questo tempo, vogliamo ora orientare la nostra riflessione su questo monito dell’apostolo Paolo.

La Parola di Dio che orienta e guida questo cammino (come ogni altro!) ci conduce all’esperienza del Cristo che viene incontro a noi, in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno5.

Per ogni cristiano l’Avvento è tempo di salvezza, attesa del Cristo che, già venuto nel mondo, rinnova la sua presenza in ciascuno di noi. E, come Paolo, la Chiesa esorta il suo popolo a svegliarsi dal sonno, per ritrovare il sentiero che conduce al divino fanciullo posto in una mangiatoia.

Essere consapevoli del momento, svegliarsi dal sonno è voler prendere coscienza della gioia e della responsabilità che derivano dalla nascita di Cristo nella storia degli uomini.

Quando un bimbo viene alla luce è sempre una grande gioia, intrisa di speranze e di sogni per una nuova vita che si apre al futuro. Ma è anche una grande responsabilità. Se il bambino appena nato venisse abbandonato a sé stesso, non avrebbe possibilità di crescita e ogni gioia, ogni sogno, ogni speranza, legata alla vita che si rinnova, svanirebbe nel nulla, come svanisce ogni effimera felicità legata solo alla novità di un evento che passa.

Troppo spesso, nel nostro tempo, l’attesa del Natale è vissuta da molti, più che con profonda spiritualità, con superficiale allegria: si pensa più alla festa da preparare con banchetti e regali, che al “Festeggiato” da accogliere! E il bambino Gesù, abbandonato nella mangiatoia, non ha possibilità di crescere nel cuore dell’uomo.

Eppure se l’Avvento è il tempo della spiritualità dell’attesa, il momento del risveglio, allora bisogna davvero destare la coscienza dal letargo di un cristianesimo vissuto in maniera passiva, come accettazione di precetti e atteggiamenti imposti dall’esterno.

La notte, in tutta la Sacra Scrittura rappresenta il buio di una vita senza speranza e, tanto più nelle parole di Paolo, il giorno diviene metafora della coscienza illuminata, che riveste l’uomo della speranza cristiana, la quale induce a prendersi cura di quel bimbo divino che, nato in una mangiatoia, può rinascere e crescere nel cuore di ciascuno.

Ad un passo dalla luce, nell’attesa del Signore che viene, l’Avvento è il tempo della riflessione personale, dell’impegno che porta gli uomini, in nome di Cristo, a cambiare sè stessi per cambiare il mondo.

Ma è fatale che dal sonno al risveglio, ancora immersi nella penombra, confusi tra le prime luci dell’alba, si sia incapaci di distinguere il giorno dalla notte e di vedere con chiarezza ciò che ci circonda.

Come un cieco, che per miracolo riacquista la vista, chiude gli occhi dinanzi alla luce che ri/acceca, e solo nel tempo impara a ri/conoscere ciò che già conosceva, così l’uomo, quando la Luce – quella vera – splende nelle tenebre, non è capace di accoglierla. E mentre il mondo appare ripiombato nel buio, mentre i popoli ancora alzano la spada contro altri popoli e si esercitano nell’arte della guerra6, sentiamo gridarci dentro: «Svegliatevi dal sonno, la Luce è vicina!».

Anche se il regno messianico profetizzato da Isaia, mai come in questa notte della storia degli uomini, appare lontano, la Chiesa tutta, consapevole del momento, non dispera. Essa sa che il Cristo, storicamente venuto nel mondo, tornerà tra gli uomini per condurre tutti a verdi pascoli e ad acque tranquille.

Mentre tutta l’umanità geme ancora nelle doglie del parto, nella confusione del cuore torna la speranza. Uno spiraglio di luce, annuncio del nuovo giorno che arriva, illumina la coscienza di chi dal profondo dell’anima invoca: “Vieni, Signore Gesù!”.

Ma nel passaggio dalla coscienza addormentata alla coscienza illuminata si corre il rischio di confondere le immagini, di vedere la realtà in maniera alterata, senza cogliere ciò che è davvero importante.

Ancora l’umanità, già sanata da quel Bimbo che scese dal cielo, dall’incarnazione, morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, non è ancora in grado di vedere chiaramente la salvezza che le è stata donata.

I tragici avvenimenti che continuano a sconvolgere il mondo sono segno di una umanità cieca che, invece di attendere il ritorno del Signore che sana ogni cosa, ha indurito il cuore e, senza comprendere la Parola di Dio, attende la vittoria dell’uomo sull’uomo: «Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani»7.

Se il Natale non rievoca soltanto un evento passato, memoria storica della salvezza, ma è il momento in cui l’umanità tutta vive una speciale presenza del Signore, allora la Chiesa ha il compito di ricondurre le attese del mondo all’attesa del Cristo, poiché solo nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo8.

Tutte le attese dell’uomo, infatti, trovano il loro fondamento nell’attesa del Signore che viene e la Chiesa, come un tempo Israele, deve essere interprete di questo desiderio, inconsapevole o meno di ogni uomo, per condurlo all’incontro interiore che prepara l’incontro definitivo. Come Israele attendeva il Messia perché assetato di libertà, di giustizia, di pace, così il mondo intero attende perché ha bisogno di Cristo, di una speranza che sia certezza.

Per questo la Chiesa ripete ancora ai suoi figli: svegliatevi dal sonno e date ragione della speranza che è in voi! Siate testimoni di pace e attendete il Signore che viene con vigilanza operosa, con le lampade accese; indossate le armi della luce, le uniche capaci di sconfiggere il terrorismo esplosivo e quello nascosto che colpisce interi popoli, i poveri e i deboli della terra.

Non si può essere testimoni della speranza cristiana, se non ci si comporta come in pieno giorno, lottando per la giustizia e la comunione tra gli uomini. Perché non può esservi pace là dove l’ingiustizia divide i popoli e li rende nemici.

Ogni volta che un uomo, un popolo o i potenti della terra credono di potersi salvare da soli, non si salva nessuno, perché il Signore verrà quando saremo un solo ovile e un solo pastore9. Ogni volta che l’uomo crede di potercela fare con le proprie forze, voltando le spalle a chi ha bisogno di aiuto, ogni volta che l’uomo ha creduto di essere invulnerabile, la sua forza e la sua potenza sono divenute la sua debolezza10.

***


Signore Gesù Cristo, aiutaci perché possiamo maturare una sensibilità nuova. Perché possiamo essere capaci di contestare questo sistema disumano di oppressione. C’è tanta gente che, mentre noi parliamo, sta morendo di fame.

Signore, aiutaci a capire che, anche come Chiesa, come comunità cristiana, dobbiamo cominciare a protestare: l’uomo non va ucciso. Non va ucciso nel grembo della madre – anche quello è un delitto atroce – ma non va ucciso neanche dopo che è stato partorito. Non va ucciso per fame. Non va ucciso per esclusione. Non va ucciso per emarginazione.

Tu sei venuto a portare la libertà: non la libertà dei più forti, non la libertà selettiva per cui possono vincere e arrivare a mangiare al banchetto della vita soltanto quelli che hanno denti buoni.

Signore, fa’ che possiamo essere specialisti nell’annunciare un mondo altro, diverso da quello che stiamo vivendo. Annunciare sì la dimensione escatologica che non deve mancare nella nostra profezia, però dobbiamo essere annunciatori di un mondo altro.

Allora, questa nostra terra, piano piano, cesserà di essere l’atomo opaco del male e diventerà il giardino in cui possono fiorire le speranze più belle[11].

 

 

 


III.   Preparate la via al Signore!

 

«Comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”. Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!» (Mt 3,1-3).

Analizzando la storia, che continua a fare il suo corso, dando all’uomo sempre maggiore stimolo nell’affermazione della sua supremazia, per cui non conosce più la via della pace e della giustizia[12], sentiamo quanto mai il bisogno di liberarci dalla mentalità corrente.

Dobbiamo preparare la via al Signore che viene a visitare il suo popolo.

«Il profeta Isaia annuncia la liberazione ed esordisce con una parola di coraggio e di speranza: “Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù…” (cfr. Is 40,1-2). Gli schiavi ebrei di Babilonia sentono una parola che parla al loro cuore e che li guarisce dalla colpa e dall’infedeltà. Dio cammina ancora con il suo popolo! Ma bisogna ora preparare la via del ritorno, del nuovo esodo: lasciare il passato, il già conosciuto per l’imprevisto – la novità di Dio – perché solamente così si “rivelerà la gloria del Signore ed ogni uomo la vedrà” (cfr. Is 40,5). E’ qui tutta la bellezza e la difficoltà della conversione, nel girare veramente le spalle alle vecchie abitudini per un nuovo inizio, che diventi poi cammino quotidiano.

Tale novità di Dio, che irrompe nella vita, fa sì che “il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura” (cfr. Is 40,4): non si sente la fatica perché c’è il Pastore che guida e al momento opportuno prende in braccio le sue pecore (cfr. Is 40,11) e il cuore è capace di intendere la lieta notizia: “non temere.. ecco il vostro Dio” (cfr. Is 40,9). Se non ci prepariamo con una rinnovata conversione potremo sperimentare qualche emozione superficiale, ma non il gusto della “consolazione” di cui ci parla Isaia»[13].

Le parole di Isaia, attraverso la voce di Giovanni Battista, risuonano anche per noi che riviviamo l’attesa di Colui che è già venuto nella storia ma deve continuamente venire nel cuore degli uomini. Durante l’Avvento, infatti, tutta la Chiesa lo invoca “Vieni Signore Gesù”! Ed Egli viene con la potenza dello Spirito Santo e del fuoco, cioè con tutta la sua capacità di rinnovare la vita dell’uomo dal di dentro. Bisogna, però, che ci avviciniamo a Lui con un desiderio vero di conversione. Ricordiamoci che anche i farisei sono andati da Giovanni, ma si sono sentiti chiamare «razza di vipere» (Mt 3,7) e rimproverare con toni aspri e duri: il motivo è che si sentivano a posto e giustificati per il fatto di essere “figli di Abramo”. A volte può capitare anche a noi di sentirci buoni e migliori degli altri, di chiedere perdono ma senza essere troppo convinti che quello che abbiamo fatto era proprio male, presi dentro la rete del pensare: “Tanto, fanno tutti così!”. Spesso ci sentiamo a posto davanti a Dio, perché magari siamo osservanti e non ci poniamo più il problema della conversione che è camminare insieme al Signore, seguirlo in tutti i suoi passi, ricalcando il suo modo di fare e di pensare.

Il Signore ci dona questo Avvento per prepararci, nella verità, ad accogliere Colui che viene. Attenderlo, facendo luce nella nostra vita, significa diventare pronti al perdono e a ricevere il dono dello Spirito Santo[14].

Alcuni esempi pratici ci vengono dal vescovo Tonino Bello: «Hai proprio bisogno di un fac-simile di comportamenti o di un prontuario di sfasature in linea con l’imprevedibilità di Dio? Non ci vuole molto. Guardati attorno e vedrai che, grazie al cielo, nel mondo ci sono tantissime succursali di questa follia del Signore. E tu darai così la risposta a tante apparenti assurdità.

Perché Franco e Anna hanno lasciato il posto in ospedale e son partiti volontari in Etiopia con la loro bambina? Perché Antonella, splendida ragazza, dopo l’Isef è entrata come novizia in un monastero? Perché quella coppia, come se non bastassero i figli e i problemi, si è avventurata in una rischiosa operazione di affidamento? Perché quella comunità parrocchiale sfida l’opinione dei bempensanti che escludono il diverso, e fa accoglienza ai terzomondiali? Perché Maria di Reggio Calabria perdona gli uccisori di suo padre?

Valla a trovare la logica!»[15].

Siamo davvero troppo lontani dalla logica di Dio! E’ sempre più facile cullarsi tra situazioni di comodo, di disinteresse, di tornaconto personale. I nostri vescovi, infatti, suggeriscono alcune decisioni di fondo, capaci di qualificare il nostro cammino ecclesiale: dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera16.

E’ quanto mai opportuno, oggi, capire l’insegnamento di Tonino Bello: se la gente non entra in chiesa, è segno che dobbiamo uscire noi. Siamo invitati a uscire dagli spazi profani, che stanno davanti al tempio (pro-fanum). Il libro del Levitico ci suggerisce: «Siate santi come il Signore è santo» (Lv 11,44). Non sacri, ma santi! Dobbiamo preparare la strada al Signore che viene andando in strada, in mezzo alla gente17.

Bisogna passare dal tempio, luogo del sacro, alla strada, cioè al mondo, là dove vive l’uomo, con le sue certezze e i suoi dubbi, le sue conquiste e le sue sconfitte: questo è il cammino dell’agire pastorale al quale dobbiamo tendere.

Dobbiamo abilitarci a discorrere e discutere (cfr. Lc 24,15), alla luce del Vangelo, eventi e problemi, sofferenze e attese della gente. Non possiamo rimanere indifferenti dinanzi a questioni che toccano la dignità della vita, della persona, della famiglia, del vivere sociale. Non possiamo essere così forestieri da ignorare ciò che accade ai nostri giorni (cfr. Lc 24,18-21): violenza, omicidi, diritti negati, giustizia lenta, prepotenza dei forti, affossamento di progetti di sviluppo, mortificazione di risorse, smarrimento della speranza.

Nella valutazione di questi fenomeni, i poveri, che spesso ne sono vittime, hanno diritto di parola.

La carità ci spinge ai luoghi dove si studiano i problemi, si diffondono idee, si elaborano progetti attinenti alla vita e al futuro della gente e del territorio18.

L’attenzione alla strada diventa così obiettivo centrale, perché in essa converge la Chiesa; la strada è luogo di testimonianza della carità; la strada è luogo di evangelizzazione; sulla strada ci possiamo fare viandanti per accostare l’uomo nostro fratello.

Per una comunità cristiana viva, che ama, che vuole trasmettere l’amore di Dio, la storia e il territorio sono la strada del suo peregrinare, il luogo in cui proclamare la profezia del Regno ed esprimervi il suo servizio19.

***


Basta, Signore! Adesso ti ci metti anche tu? Perché mai aumenti la nostra angoscia parlandoci di stelle che precipitano, di soli che si spengono, di lune che non danno più luce? Perché mai amplifichi i nostri incubi collettivi, quando dici testualmente che gli uomini «moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra»? (cfr. Lc 21,25-26).

Gli uomini moriranno per la paura!

Come se già non bastassero le nostre paure. Ma ne abbiamo già tante, per conto nostro! Oh, no! Non la paura del buio, del lampo, del tuono, dei terremoti, delle tempeste. Lo sappiamo, oggi le paure hanno traslocato. Si sono trasferite dalla fascia cosmica, per così dire, alla fascia antropologica. Non si articolano più attorno al cuore della natura: si articolano attorno al cuore dell’uomo. Oggi, cioè, non si ha più paura della carestia provocata dall’avarizia della terra, ma della carestia prodotta dall’avarizia dell’uomo.

E’ dal cuore umano che nasce e si sviluppa la nube tossica delle paure contemporanee. Paura dell’Aids. Paura della droga. Paura di Cernobyl. Paura dell’Enichem. Paura del grano radioattivo. Paura delle scorie tossiche. Paura dello squilibrio dell’ecosistema. Paura delle manipolazioni genetiche.

Paura del proprio simile. Paura del vicino di casa. Paura di chi mette in crisi le nostre polizze di assicurazione. Di chi mette in discussione, cioè, i nostri consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia. Paura dello zingaro. Paura dell’altro. Paura del diverso. Paura dei marocchini. Paura dei terzomondiali. Paura di questi protagonisti delle invasioni moderne, che se non chiamiamo barbariche è soltanto perché ci viene il sospetto che questo aggettivo debba spettare a noi cosiddetti popoli civili, che, dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ancora veramente incapaci di accoglienze evangeliche.

Paura di uscire di casa. Paura della violenza. Paura del terrorismo. Paura della guerra. Paura dell’olocausto nucleare. Paura di questa apocalisse a rate che ci viene somministrata dalla produzione crescente delle armi e dal loro squallido commercio, clandestino e palese.

Paura di non farcela. Paura di non essere accettati. Paura di non essere più capaci di uscire da certi pantani nei quali ci siamo infognati. Paura che sia inutile impegnarsi. Paura che, tanto, il mondo non possiamo cambiario. Paura che ormai i giochi siano fatti. Paura di non trovare lavoro.

Quante paure!…

Di fronte a questo quadro così allucinante di paure umane, che cosa ci dici oggi, Signore? Il Vangelo di oggi (I Domenica di Avvento, Lc 21,25-28.34-36) è proprio il Vangelo dell’antipaura: Alzatevi… Levate il capo.

Signore, rivolgi a ciascuno di noi la stessa esortazione che l’angelo rivolge alla Vergine dell’Avvento e dell’attesa: «Non temere, Maria» (Lc 1,30)[20].


  1. Rallegratevi nel Signore!

 

«Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. […] Il Signore è vicino!» (Fl 4,4-5).

«La gioia è qualcosa di cui l’uomo non può fare a meno, perché Dio, creandolo, gli ha infuso un desiderio irresistibile di felicità. La gioia vera: non quella che si riduce a sentimentalismo e che può scomparire quasi senza motivo; no, la gioia che può rimanere anche nel pianto e negli abissi della derelizione, mentre la vetta dello spirito è nello splendore della esultanza e sotto la carezza della pace.

La gioia è regalo di Cristo e adesione di libertà; va accolta prima che conquistata; ed esige l’impegno di bontà più aspro, ma si tiene sempre spalancata alla misericordia del Signore Gesù.

L’uomo, per procurarsela, percorre diversi sentieri, molti dei quali, tuttavia, non sono sorgenti di gioia, ma generano solo illusione e vuoto. Caricatura peggiore della gioia ridotta a emotività è il senso ambiguo di fragilità e di rimorso che si percepisce nel piacere frutto del peccato di egoismo, di possesso delle cose, di dominio sugli altri, di voluto disordine sessuale, ecc.»21.

Come uno slogan, nel cammino dell’Avvento dobbiamo portare nel cuore la gioia del Signore, che l’apostolo Paolo proclama: il Signore è vicino!

Il tempo liturgico dell’Avvento è “tempo propizio” per un forte richiamo a riscoprire il contenuto perenne della fede e a viverlo con entusiasmo e freschezza rinnovati. Le nostre comunità, riunite intorno alla mensa domenicale che il Signore Gesù continua ancora a offrire ai suoi discepoli, devono ritrovare le motivazioni convincenti per un impegno apostolico sempre più credibile, puntando lo sguardo sul Cristo che ci invita ad orientarlo sugli altri per condividerne i problemi che pure ci attraversano e continuano ad impensierirci. I problemi delle famiglie con i loro carichi eccessivi, l’incertezza dei giovani per il loro lavoro futuro, l’esigenza di una convivenza più armoniosa e costruttiva non possono trovarci estranei.

La nostra risposta, tuttavia, dovrà mantenere il carattere ecclesiale. Mossi dalla carità di Cristo, assumeremo i problemi di tutti con un atteggiamento aperto e concreto, pieno di dedizione e di discernimento, sollecitando i fratelli e le sorelle, impegnati in prima linea nella società, ad essere testimoni di carità e di servizio. In questo modo renderemo sempre più vive e operose le nostre comunità ecclesiali e tutti insieme saremo fermento e primizia di una società rinnovata.

L’invito pressante è di camminare insieme, uniti nell’intento di rinvigorire i nostri rapporti, di mettere in chiaro i passi del nostro agire e di crescere nella carità che il Signore ci ha insegnato.

Un aspetto particolarissimo sul quale dovremo concentrare l’attenzione riguarda i giovani con le loro prospettive e i loro problemi: essi costituiscono già, ora, il nostro futuro! Dovremo studiare insieme e promuovere vie nuove e incisive per un dialogo e un’azione intensa con loro. E’ certo che il Signore non ci farà mancare uno spirito profetico e una fantasia creativa, se glielo chiederemo con fede e perseveranza. Così la nostra strada, anche se sarà faticosa, ci riserverà certamente tappe meravigliose di semina e di raccolta. Dovremo però affrontare con coraggio e perseveranza la quotidiana fatica dei nostri impegni battesimali22.

E quando avremo la sensazione di ripiombare nelle tenebre, quando confusi crederemo di non avere più nulla da donare, destiamoci dal sonno e con fiducia guardiamo dentro di noi: lì, nel segreto dell’anima, ci parlerà il Signore; lì, nello scrigno del nostro cuore troveremo la nostra ricchezza.

“Vivevo sul lato in ombra della strada e osservavo i giardini dei vicini

al di là della strada, festanti nella luce del sole.

Mi sentivo povero, e andavo di porta in porta con la mia fame.

Più mi davano della loro incurante abbondanza,

più diventavo consapevole della mia ciotola da mendicante.

Finché un mattino mi destai dal sonno

all’improvviso aprirsi della mia porta, e tu entrasti a chiedermi la carità.

Disperato, ruppi il coperchio del mio scrigno, e scoprii sorpreso la mia ricchezza”.

(R. Tagore)[23].

 

Se davvero ci metteremo in ascolto della Parola del Signore e, attraverso essa, ci sentiremo spinti a cambiare mentalità ed a preparare la via al Signore che viene con la fede e le opere, sarà certamente bellissimo il Natale. «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce  – dice il Signore – e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).

Certo, non ci permetteremo di trascorrere ancora il solito Natale, fatto di banchetti, di doni, di abbracci tiepidi… ma faremo sì che questo sia un Natale diverso, il Natale del Signore, fatto di carità, gioia, fede, coraggio, amore sincero! Faremo in modo di cogliere in ogni avvenimento triste di questo mondo l’appello del Signore che ci invita a preparargli la strada, poiché Egli è Vicino! Presto verrà a visitarci e noi lo accoglieremo, unico Salvatore e Maestro, Via, Verità e Vita!

E, vogliamo percorrere il nostro cammino sotto lo sguardo di Maria, la madre del Signore, e contare sulla sua intercessione. Ella ha acconsentito al mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, ha ascoltato e realizzato la parola di Dio, è figura della Chiesa santa, serva del Signore e madre dei credenti, è donna di fede, pronta a sperare contro ogni speranza, piena dell’amore di Dio e capace di carità senza confini. A lei affidiamo, con piena fiducia, il nostro cammino in attesa della venuta del Signore[24]. Per questo vogliamo dirle:

Santa Maria, vergine dell’attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro, quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l’arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d’inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l’acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti, l’incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva si preparava una culla.

Se oggi non sappiamo attendere più è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell’alleanza.

Santa Maria, donna dell’attesa, conforta il dolore delle madri per i loro figli che, usciti un giorno di casa, non ci sono tornati mai più, perché uccisi da un incidente stradale o perché sedotti dai richiami della giungla. Perché dispersi dalla furia della guerra o perché risucchiati dal turbine delle passioni. Perché travolti dalla tempesta del mare o perché travolti dalle tempeste della vita.

Santa Maria, vergine dell’attesa, donaci un’anima vigiliare. Ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell’avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo, che si sente già vecchio. Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con te mattiniera possiamo svegliare l’aurora.

Di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò, ministri dell’attesa. E il Signore che viene, vergine dell’Avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano[25].

 

CONCLUSIONE

 

Al termine di questa riflessione, desidero precisare che ciò che ho voluto condividere con voi in questa riflessione, «non sono spunti di dottrina, ma indicano i punti dell’impianto dottrinale che si sono spaccati sotto l’urto degli stimoli pratici. […]

Non sono forse neppure proiezioni di eccezionale strategia missionaria […], ma hanno sufficiente eloquenza per farci capire l’ampiezza del non ancora che ci manca perché la nostra Chiesa sia più credente e più credibile»26.

Si tratta semplicemente di alcuni suggerimenti che possono aiutarci a metterci in cammino verso la missione che nel Battesimo abbiamo ricevuto e presto dimenticato e/o ignorato.

Concludendo, desidero augurare a tutti “Buon anno!”. Il Signore, nella sua Provvidenza, si degna di donarci un nuovo anno liturgico, anno di grazia: non accogliamolo invano! (cfr. 2 Cor 6,2).

E desidero, inoltre, anticipare gli auguri per l’ormai prossimo Natale, invitandovi tutti a contemplare la santa Famiglia di Nazareth, che accolse il Bambino di Betlemme nella povertà e con un grandissimo amore. Essa ispiri a noi aiuto nella nostra voglia di costruire un mondo sempre più impiantato nel “Vangelo della carità”27.

«A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Amen!»28. «Vieni, Signore Gesù!»29.

 

 

Torregrotta, 1° Dicembre 2002

I Domenica di Avvento

 

 

Antonino Pinizzotto

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